fbpx
Partenopeismi

“Gomorra in campo”, un titolo che non ci piace

Negli ultimi 36 anni il calcio italiano è stato infestato dagli scandali. Se si eccettuano gli illeciti scaturenti dall’inchiesta Offside del 2006, volgarmente chiamata Calciopoli, quelli precedenti sui falsi passaporti (2001) e sulla contraffazione delle fideiussioni per l’iscrizione ai campionati (2003), nel lasso di tempo che va dal 1980 ad oggi il pallone nostrano è stato bucato ben cinque volte per mano di scommettitori criminali.

E’ di stamattina la notizia dell’arresto di diversi personaggi a vario titolo legati ad un clan della camorra napoletana. La Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo partenopeo ha messo gli occhi su alcune partite disputate dall’Avellino nella stagione 2013/14 (al momento, negli atti vengono citate quelle giocate contro il Modena e la Reggina) ed ha intercettato, tra gli altri, i calciatori Izzo, Millesi e Pini, tutti militanti nella squadra irpina all’epoca dei fatti. Il difensore attualmente al Genoa risulta indagato, mentre gli altri due sono in stato di arresto.

Questa inchiesta, cronologicamente, è solo l’ultima di una lunga serie, che va avanti dall’alba degli anni ’80. Chi ha qualche anno di esperienza in più, ricorderà le retate sui campi di mezza serie A, quando la polizia faceva irruzione in auto fino a bordo campo durante le partite, aspettava il triplice fischio dell’arbitro e ammanettava i calciatori indagati, ancora sudati e in uniforme di gioco. Poi ancora indagini ed arresti, nell’’86, nel 2011 (indagato anche l’attuale c.t. della Nazionale Antonio Conte, poi prosciolto), fino ad un anno fa, quando abbiamo assistito alla fine di quella bella storia di sport che era il Catania di Pulvirenti, arrestato perché aveva letteralmente comprato le partite chiave per la lotta salvezza.

Nell’odierna vicenda, come è consuetudine dei nostri tempi, l’aspetto mediatico assume rilevanza centrale. Una rilevanza che, beninteso, è comunque limitata ai confini della serie B, peraltro di medio bassa classifica. Invece la Gazzetta dello Sport ci mette del suo, dedicando un titolone a tutta pagina dai toni tutt’altro che evasivi: “GOMORRA IN CAMPO”. E’ abbastanza facile notare, sfogliando le prime pagine degli altri quotidiani in edicola oggi, che questa indagine trova posto in un trafiletto di spalla sul Corriere dello Sport e in prima pagina sul Mattino di Napoli, e non sicuramente con questi toni, poi più nulla.

Sgomberiamo subito il campo dal vittimismo e dalla propensione alla lamentela, che non ci appartengono nonostante storicamente la Rosea non sia mai stata tenera con i fenomeni calcistici a sud della barriera di Melegnano. E sgomberiamo il campo anche da qualsiasi implicazione commerciale tra il famoso marchio associato a diversi prodotti commerciali (libro, film e serie tv) ed un giornale sportivo edito da Rizzoli, la cui divisione libraria si è da poco fusa con Mondadori, la casa editrice che ha curato l’uscita del best seller di cui in queste settimane si festeggiano i dieci anni: non vogliamo nemmeno immaginare che si usi una notizia, più o meno importante, per fini promozionali.

L’aspetto veramente poco condivisibile di quel titolo, purtroppo molto tangibile, è l’uso improprio del sensazionalismo giornalistico. Già ingigantire le vicende al solo scopo di aumentare le vendite di un giornale è di per sé pratica abbastanza sgradevole, ma partire da presupposti sbagliati è ancora peggio. Il grande pubblico ha accettato in modo abbastanza passivo il paradigma Gomorra – Napoli, senza quasi porsi domande in merito. Oltre che nel racconto biblico, Gomorra è una città usata diverse volte nella letteratura moderna come simbolo di decadimento morale, mentre a livello linguistico, come noto, è un’ovvia storpiatura di camorra. Un trinomio di grande successo commerciale, ottenuto a partire dalla penna di Roberto Saviano. Ma è un successo costruito su una narrazione che ha tra gli elementi fondanti l’assenza di alternative al male, la mancanza di speranza, la consapevolezza che a Gomorra (Napoli) i suoi cittadini moriranno al buio. Sappiamo tutti che non è così e che Napoli è anche altro.

Da qui il titolo della Gazzetta. Con le parole si gioca sul fatto che i boss in questione ed il calciatore Armando Izzo sono di Scampia, una città nella città che troppo spesso si concede alla cronaca nera nazionale. Ma appare quanto meno forzato utilizzare quella parola, e persino una grafica che è una via di mezzo tra il libro, il film e la serie tv, dal momento che per una precisa scelta (lo ha ribadito lo stesso Saviano, intervistato da Fazio qualche giorno fa) gli autori hanno deciso di tenere il calcio fuori dall’impianto narrativo.

Per converso, la notizia vera è quella degli arresti effettuati dai Carabinieri su ordine dell’Antimafia napoletana, e qui il titolista commette il secondo errore. Anche in questo caso per volontà degli autori, né nel libro di Saviano, né nell’opera cinematografica di Matteo Garrone e nemmeno in due stagioni di trasposizione televisiva firmata da Stefano Sollima c’è la minima traccia della giustizia, in qualsiasi formanon un poliziotto, non un procuratore, non un giudice. Scrivere “GOMORRA IN CAMPO”, per dirla in termini giuridici, è una pura costruzione d’artificio, oltre che una contraddizione in termini.

Lungi da noi l’intenzione di oscurare un’icona come la Gazzetta dello Sport, ma con grande onestà intellettuale possiamo affermare che un giornale così prestigioso avrebbe potuto evitare un dannoso sensazionalismo.

 

About author

Paolo Esposito è laureato in Economia Aziendale. Per lavoro si occupa di tax auditing con particolare attenzione al transfer pricing, al financial accounting e alle business restructuring. Tuttavia crede che di calcio sia meglio parlare in napoletano.
Related posts
Partenopeismi

Lorenzo Marone: Il Napoli? “Mio padre prima di me, mio figlio dopo di me”.