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4 settembre 1955: lo spettacolo ha inizio

Gabriel Hanot, francese di Arras, era un tipetto un po’ particolare. Da giovane fu un discreto calciatore, tanto da vincere un titolo locale nel 1910 con i bianconeri dell’Union Sport Tourcoing. In età matura divenne allenatore, giornalista e promotore dello sport di massa. Se quest’ultima attività gli portò tante soddisfazioni, perchè fin dagli anni ’30 riuscì a divulgare il concetto di sport professionistico, al contrario le altre due, mischiate insieme, gli crearono qualche problema. Ma andiamo con ordine.

Nel 1946, appena finita la guerra, in tutta Europa si respira una profumata atmosfera di cambiamento. A due passi da Parigi, nell’arrondissement di Boulogne-Billancourt, nascono quasi in contemporanea due fenomeni editoriali che presto sarebbero diventati planetari. Uno è il quotidiano L’Equipe, diretto dall’appassionato di ciclismo Jacques Goddet, un visionario che fino a pochi anni fa è stato organizzatore di classiche come la Parigi – Roubaix. L’altro è il settimanale France Football. Gabirel Hanot collabora con entrambe le testate: sarà lui, qualche anno più tardi, a presentarsi nella redazione del settimanale con un’idea rivoluzionaria: assegnare un premio annuale ad un calciatore distintosi per impegno e capacità. All’editore non sembrò male. Era appena nato il Pallone d’oro.

Sul finire degli anni ’40, contemporaneamente all’attività di giornalista, Hanot era riuscito a farsi dare l’incarico di commissario tecnico della nazionale transalpina. Giusto per inquadrare bene il personaggio, la sua carriera di Ct terminò a seguito di una netta sconfitta inflitta dalla Spagna. Al termine di quella partita, Hanot scrisse un articolo durissimo nei confronti dei suoi giocatori, unito ad un editoriale anonimo in cui chiedeva le dimissioni del commissario tecnico, cioè lui stesso. Il giorno dopo, seguendo il “suo” consiglio, Hanot si dimise, annunciando pubblicamente che non avrebbe mai più ricoperto incarichi in conflitto.

Come promotore sportivo, dicevamo, Hanot ha avuto sicuramente maggior fortuna. Nell’immediato dopoguerra aveva ideato la Coppa Latina, una delle più prestigiose  competizioni riservate a squadre di club europee. Trovandosi in Inghilterra per lavoro, siamo vicini al Natale del 1954, dalle pagine del Daily Mail viene a sapere che il Wolverhampton è appena diventato “Campione del Mondo”. Sdegnato, cerca di capire i motivi di tanta enfasi e scopre che i campioni d’Inghilterra in carica, i Wolves appunto, hanno appena battuto i fenomenali ungheresi della Honved capitanati da Ferenc Puskas. Da 0-2 a 3-2, una rimonta che sapeva di trionfo. Per carità, si trattava solo di una partita amichevole. Tuttavia, non esistendo ancora il moderno concetto di coppe europee, i maestri inglesi cercavano di esportare il marchio dei vincitori della First Division (l’attuale Premier League) con una serie di esibizioni contro avversari di altissimo livello. Ed ecco i magiari, che per metà andavano a comporre una delle nazionali più forti di sempre, in grado qualche mese prima di battere con un roboante 7-1 proprio la nazionale britannica.

E Hanot? Dopo aver preso un tranquillante che gli abbassasse la pressione arteriosa, inviò una lettera all’Uefa nella quale, sottolineando l’arroganza degli inglesi nell’autocelebrarsi in quel modo, scrisse dell’importanza di creare una nuova coppa destinata a squadre di club, che ne desse vero prestigio e visibilità. Per alimentare il tam tam mediatico, pubblicò un articolo su L’Equipe dall’eloquente titolo “Il Wolverhampton non è il club campione del  mondo”, con un altrettanto deciso trafiletto inferiore: “L’Equipe lancia l’idea di un Campionato d’Europa per club, la cui realizzazione sarà più sensazionale dell’Europeo per nazionali”.

La politica del calcio, in un primo momento, respinse qualsiasi tipo di proposta per il semplice motivo che l’Uefa all’epoca si occupava esclusivamente di nazionali. Seguirono mesi intensi, in cui Hanot (con l’aiuto del direttore dell’Equipe Marcel Oger) organizzò incontri più o meno segreti, raggiunse accordi e ricevette adesioni, sia dai presidenti dei club che da quelli delle federazioni nazionali: finalmente la sua idea di torneo era tangibile. Un’idea presentata il 2 marzo del 1955, da Hanot in persona, nel corso di un’assemblea nella sede dell’Uefa. I dirigenti istituzionali si divisero tra innovatori, curiosi di vedere questo progetto nella pratica, e conservatori, i quali pensavano che un campionato europeo per club togliesse spazio e importanza alle nazionali.

Ma ormai la macchina era avviata, non c’era che da racogliere tutti gli aderenti in un’unica sede, il prestigioso hotel Ambassador di Parigi. Era il 2 aprile del 1955 e al termine della giornata fu stilato un documento, poi inviato all’Uefa, contenente la bozza di regolamento della nuova competizione. Vedendosi quasi scavalcata dai presidenti dei club e dallo stesso Hanot, l’ente calcistico europeo diede parere favorevole al varo della Coppa, a due condizioni: l’organizzazione sarebbe spettata  alla stessa Uefa (ovviamente previo accordo con le singole federazioni) e il trofeo non avrebbe dovuto intitolarsi Coppa Europa, denominazione troppo simile alla competizione destinata alle nazionali.

Il 4 settembre del 1955, a Lisbona, scesero in campo i padroni di casa dello Sporting e il Partizan Belgrado per la prima partita valevole per quel nuovo trofeo. Vi presero parte tutti i club vincitori dei rispettivi campionati. Il suo nome? Semplice: la Coppa dei Campioni.

About author

Paolo Esposito è laureato in Economia Aziendale. Per lavoro si occupa di tax auditing con particolare attenzione al transfer pricing, al financial accounting e alle business restructuring. Tuttavia crede che di calcio sia meglio parlare in napoletano.
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