Dimaro è oscurata.
Chi vive il territorio napoletano in queste ultime ore ha spento i fari sulla succursale trentina del capoluogo campano e su tutto ciò che riguarda la leggerezza di un argomento come il calcio giocato.
A Napoli c’è l’inferno: fumo, aria irrespirabile e soprattutto sirene che, tristemente, non sono quelle di mercato. Le luci sono tutte per il territorio che circonda il Vesuvio, luci rosso fuoco.
Il Vesuvio brucia. E lo fa in maniera incontrollata e divampante. Ne soffrono occhi e polmoni, ma anche cuori, quelli sensibili, quelli mortificati da chi ti ha scaraventato nel baratro dell’impotenza.
A Dimaro sventolano bandiere azzurre e si odono cori pro-napoletanità. Quelli hanno sempre breccia, hanno sempre inebriato i nostri canali uditivi, ci hanno sempre fatto sentire parte di una comunità forte, orgogliosa. Oggi ci infastidiscono. Oggi sono note stridenti. Oggi sono paradosso.
Di cosa c’è da essere orgogliosi? Di veder bruciare immotivatamente ettari su ettari di boschi? Di leggere a destra e manca allusioni alla “mano” dell’uomo? Ad ipotetici disegni criminali?
E’ questa la napoletanità di cui esser fieri? E’ questa l’immagine del partenopeo che ci inorgoglisce?
Noi proviamo profonda vergogna ed un allarmante senso di impotenza. A Dimaro i vari Mertens, Insigne e company corrono su di un prato verde respirando aria salubre, nella terra che alimenta la passione per il Calcio Napoli, invece, corrono i Vigili del Fuoco (e non solo loro) inalando aria malsana.
Eravamo felici. Stavamo vedendo il nostro Napoli prendere forma, stavamo scolpendo nella nostra mente un sogno, l’innominabile cominciava ad affacciarsi ai lati di un sipario chiuso da anni. Poi, la triste quotidianità napoletana ci ha svegliati e depressi. Una barriera di tristezza si è interposta tra noi e la felicità. La fierezza ha lasciato spazio alla vergogna.
No, in questo momento l’esser napoletani non ci provoca orgoglio. Ci fanno quasi ribrezzo gli innumerevoli inni alla pseudo-eternità del fortunato nascituro partenopeo e tutti gli slogan ad essi collegati.
Ma una cosa è vera, dobbiamo riconoscerla: nun c’accir nisciuno. C’accirimm’ sule nuje.