Qual è la dote principale di Carlo Ancelotti che ne ha fatto uno degli allenatori più importanti al mondo, sicuramente il più vincente d’Europa? Noi rispondiamo che è l’intelligenza, che spesso si abbina all’umiltà. Laddove per intelligenza intendiamo quell’insieme di capacità, soprattutto umane, che consentono ad un individuo di decodificare l’ambiente in cui opera e di trovare le contromisure per farlo rendere al meglio.
Nel Napoli che ha espugnato l’Olimpico è già molto chiaro il marchio di fabbrica di Carletto. Gli azzurri hanno superato una Lazio che era annunciata quasi avversario invalicabile per una squadra uscita svilita ed apparentemente smunta nelle sue certezze dal precampionato.
Il Napoli 2.0 di Carlo Ancelotti – E’ sembrato di assistere ad una sorta di Napoli 2.0, un’evoluzione del Napoli del triennio sarriano. Le stimmate della bellezza impresse come signum inequivocabile, ma anche vecchie attitudini: si vince in trasferta ed in rimonta, così come spesso era accaduto nella scorsa stagione.
Il Napoli ha sciorinato concetti a cui eravamo abituati, con un possesso palla “bulgaro” (61% contro il 39% dei biancocelesti), quasi “congelando” nel proprio DNA il “mantra” sarriano del controllo quasi totale della partita. La manovra è stata ragionata, il giropalla efficace e cucito su misura sui momenti della partita: più veloce e teso alla verticalizzazione repentina quando ci si trovava in svantaggio, più lento e compassato quando si vinceva e bisognava mantenere il possesso per irretire l’avversario.
Ad un occhio attento non sono certamente sfuggiti i (primi) correttivi che Ancelotti ha già impresso al suo Napoli: la capacità di abbassarsi in alcuni momenti della gara, per sfruttare le ripartenze con gli incursori del centrocampo oppure il lancio millimetrico di Hamsik, fresco di investitura in cabina di regia, il quale ha spesso “rischiato” la verticalizzazione verso gli avanti azzurri.
L’antisistemismo e il “normalizzatore” – Ancelotti non è affezionato ai numeri o ai moduli, in questo è un allenatore poco sistemico. Al contrario, tende ad adattarsi al contesto, normalizzando le dinamiche che trova sul posto dove va ad allenare. Carletto è un tecnico che ha improntato la sua intera carriera sulla straordinaria capacità di adattarsi a contesti sempre diversi: le sue squadre in campo sono camaleontiche perché lui per primo è camaleontico.
All’Olimpico, per esempio, dal 4-3-3 iniziale si è passati in alcuni momenti al 4-2-3-1 con Hamsik spesso più avanti di qualche metro a intercambiarsi con Zielinski nel ruolo di punto di riferimento della trequarti, agendo tra le linee soprattutto quando la Lazio si è allungata. Nella fase finale Rog, subentrato proprio al polacco, è stato addirittura spostato a sinistra in un vero 4-4-2, mantenendo Allan e Diawara centrali e Callejon a destra, con Milik e Mertens di punta.
Non c’è più la ricerca ossessiva ed ostinata del pressing alto che viene fatto ma non più sulla palla quanto sull’uomo e solo quando serve. Il possesso palla non è puro esercizio estetico ma diventa strumentale a seconda della situazione della partita e del momento dell’avversario.
Altro elemento evidente è il diverso posizionamento dei terzini: Hysaj e Mario Rui in fase di possesso salgono sulla linea dei centrocampisti e si mantengono larghi per sparigliare la difesa avversaria trovando supporto nelle mezzali, mentre gli esterni d’attacco si accentrano e si avvicinano alla punta in modo da lasciare campo al terzino che sale.
Un Gattopardismo sano – Escludendo questi semplici correttivi tipici delle squadre di Carlo, però, quello che abbiamo visto vincere all’Olimpico è ancora, per gran parte, il Napoli di Maurizio Sarri e non ci meraviglia affatto. L’espressione della manovra e la cifra stilistica risentono evidentemente ancora delle reminiscenze della filosofia sarriana come pure l’attitudine ad un certo tipo di approccio alla gara e le giocate tentate negli ultimi 20 metri.
Caratteristica tipica di Ancelotti è stata negli anni la capacità di migliorare senza rivoluzionare, ovunque sia andato. E’ proprio in questo ci sono la mano e la”firma” di Ancelotti sul Napoli. La bravura del tecnico di Reggiolo è stata, a nostro avviso, proprio quella di non cambiare, almeno in questa fase. Ancelotti sembra sulla buona strada per trovare anche a Napoli la chiave per entrare “sotto la pelle” del suo gruppo. Siamo dinanzi ad una revisione positiva di gattopardismo applicato al calcio: “tutto cambia perché nulla cambi”.
I punti di riferimento – Ancelotti ha capito che il Napoli, in questa fase, ha bisogno di ripartire proprio dalle sue più grandi certezze: non è un caso che i 10/11 dell’undici schierato a Roma sono i “titolarissimi” di Sarri (escludendo Jorginho e considerando Milik), lasciati fuori gli innesti estivi, Fabian e Verdi.
Carlo ha minuziosamente studiato organico, ambiente, clima ed ha memorizzato il messaggio: dovrà gradualmente inserire i suoi principi di calcio ma sulla scorta di quello che è stato, plasmando con equilibrio e senza traumi la sua nuova creatura.
A Roma il tecnico azzurro ha saputo dare dei punti di riferimento “visivi” ai suoi calciatori, la certezza della memoria tecnica in campo, quello “storico” del prato verde, quel bagaglio di conoscenza su cui ogni interprete in campo possa fare affidamento. E’ così che il Napoli ha saputo tirarsi fuori dalla difficoltà del primo gol subito, della prima mezzora abulica e difficile, andando poi a costruire la sua meritata vittoria.
La nuova vita di Marek – E’ lapalissiano che siamo soltanto agli inizi, che restano dei nodi tattici non banali da sciogliere, man mano che Ancelotti si approprierà nel vero senso del termine della sua nuova creatura. Uno di questi è certamente la nuova vita di Hamsik, dirottato in regia ed ancora sotto esame. E’ evidente che, col ritmo cadenzato del calcio d’agosto , con le squadre che tendono ad allungarsi prematuramente e con più tempi di gioco a disposizione, per Marek sia più facile interpretare il nuovo ruolo.
Quando si affronteranno impegni ed avversari più freschi e pronti atleticamente e che porteranno pressione alta su Hamsik, nel momento della ricezione della palla, il grado di difficoltà sarà ovviamente maggiore. Lo slovacco dovrà piano piano allenare la testa a giocare su tempi di gioco più brevi, plasmando quello che è il proprio spartito sulle nuove esigenze.
Le sfide di Re Carlo – Ci sono poi strade e percorsi da plasmare per Mertens e Callejon, l’uno da considerare ormai jolly dell’attacco e l’altro chiamato ad una seconda vita, dopo un quinquennio intenso. La sfida sarà quella di evocare nuovi stimoli a questi calciatori, che sembrano aver dato tutto al Napoli, ma che forse possono offrire ancora tanto e scoprire nuovi orizzonti personali, non cambiando maglia.
Quel che si chiede ad Ancelotti, poi, sarà lanciare sul palcoscenico del grande calcio i tanti talenti in rosa non ancora “sbocciati”: parliamo dei Zielinski, dei Rog, degli Ounas, dei Fabiàn, ma anche dei Milik e dei Diawara.
La bravura e la capacità di un tecnico pluridecorato e stimato da tutti, dovrà consentire di disinnescare le insidie che di volta in volta si pareranno all’orizzonte.
Quello che possiamo affermare senza possibilità di smentita, è che proprio nella scelta di non rivoluzionare questo Napoli, infarcito di reminiscenze sarriane e forte delle sue certezze, c’è già la piena appartenenza ed il timbro ufficiale di Re Carlo da Reggiolo. Il Napoli è già di Ancelotti.