Solo 9000 fedeli registrati al San Paolo, ad un giorno dalla prima di campionato. Quasi la metà dei 17.000 tagliandi per il neopromosso Lecce, così come è distante anni luce la quota di 40.000 abbonati interisti; senza voler menzionare gli oltre 20.000 fidelizzati del Franchi e gli onesti 30.000 seguaci della sponda rossonera del naviglio.
Al netto della discutibile tempistica sull’apertura della campagna abbonamenti (avvenuta solo a luglio), un dato traspare timidamente da questi impietosi numeri: l’indifferenza per lo stadio travalica gli schieramenti pro e contro la società. La sensazione generale, infatti, è che la decisione di disertare gli spalti sia trasversale: le poche unità di abbonati suggeriscono che, sia “papponisti” che “aureliani”, sono molto meno attratti dal catino di Fuorigrotta rispetto a qualche anno fa, anche se per motivi diversi: tra chi si assenta per protestare contro un mercato deludente e illudente, chi ha problemi esclusivamente logistici per dedicare qualche ora al campo e chi semplicemente reputa più comodo sostenere gli azzurri a casa propria, si ha la percezione che il tifo “attivo” si sia ridimensionato per priorità e costanza.
La società può essere responsabile di ciò? In parte sì: i limiti di comunicazione adottati dal presidente sono ormai noti a tutti, e in un’epoca dove qualsiasi informazione viaggia e si modifica nel giro di qualche attimo, ciò rappresenta una carenza di non poco conto. A questo fa da corollario un malcelato distacco palesato da de Laurentiis verso alcune frange di tifosi, che spesso non ha esitato a dichiararsi favorevole alla realizzazione di una nuova struttura di capienza più contenuta e “controllabile” per certi versi.
Dall’altro lato della barricata, però, nemmeno sussistono alibi: mai come quest’anno la tessera annuale ha dei costi assolutamente accessibili, la squadra non è stata smantellata pur conservando delle carenze nel reparto avanzato, diversi calciatori hanno apertamente dichiarato di volersi spingere più in là rispetto ai soliti obiettivi. Ma a prescindere da questi elementi, la passione non dovrebbe mai prescindere da condizionamenti esterni.
Sia chiaro, non è questione di schierarsi da una parte e dall’altra: il discorso delle presenze allo stadio è fin troppo complesso e le cause di defezione non possono essere analizzate in maniera univoca e superficiale. Alla stessa maniera è necessario ricordare che la gestione finanziaria del club non dovrebbe mai scatenare voli pindarici su acquisti onerosi, se non in particolari coincidenze astrali: esporre all’attenzione mediatica fanfare, contrattazioni, procuratori e tesserati che sbandierano apertamente velleità di crescita, alla lunga può frustrare i seguaci azzurri se poi queste dichiarazioni vengono (almeno parzialmente) disattese. Ma, ancora, può l’esito del mercato giustificare l’abulia dei tifosi? Può un ipotetico seguito di diversi milioni di supporters disgregarsi per il mancato arrivo di un grande nome? Onestamente, si fatica a crederci.
Un avvicinamento può verificarsi solo con dei gesti sinergici da parte di pubblico e società: una gestione della comunicazione più discreta, senza scaramucce ideologiche tra presidente e stampa (e anche nei confronti dei tifosi stessi) può rivelare un rapporto molto più trasparente tra società e fruitori, che soprattutto eviterebbe i soliti interrogativi quali “cosa è venuto a fare Ancelotti se poi non gli si da una squadra all’altezza?” oppure “ma allora ce lo possiamo permettere Icardi?” che si ripropongono a scadenze regolari anche a causa di un mercato dai tempi dilatati e sfibranti.
Nello stesso modo, la frangia che si ritiene fedelissima alle vicende sportive del calcio Napoli non può e non deve lasciarsi condizionare da movimenti di mercato presunti o fondati; il suo umore, seppur a fatica, ha il dovere di non essere depresso da una smentita così non può impennarsi al primo “sì” trapelato da chissà quale filtraggio di indiscrezioni del settore.
Il dovere di chiunque si reputi tifoso è quello di sostenere, in qualsiasi modo. Perché non può fare altro, letteralmente. L’unico modo di cambiare le sorti della squadra, o illudersi di farlo, è supportare con ogni mezzo gli artefici della propria passione. Al netto delle avversità, le difficoltà e anche le scelte ragionate di non sporgersi a ridosso del rettangolo verde, se sono rimaste solo 9000 persone disposte a farlo, vuol dire che il gioco sta cambiando nettamente direzione e trova un assenso sempre più ampio.