Con le mezze stagioni, sono andate via anche le squadre materasso. Nel caso del Napoli, poi, la problematica si amplifica: da inizio campionato non c’è stata una partita contro le “piccole” vissuta serenamente: primi tempi sbagliati, riprese regalate, poca incisività sotto porta, errori grossolani; se esistesse un vademecum su come non gestire le partite, il Napoli di quest’anno ne potrebbe scrivere diversi capitoli.
Nemmeno a Ferrara la musica è cambiata: gli azzurri partono svogliati e anche impauriti dalla subitanea traversa di Petagna, poi il vantaggio di un Milik dalla vena ritrovata (almeno questo), a cui quasi subito risponde Kurtic con uno schiaffo repentino che fulmina Ospina. Tutto il resto è noia. E dubbi.
Per la precisione, tutto ciò che accade dopo le due marcature è una sequenza di eventi confusionari: il “caos ordinato” che Ancelotti immaginava ha ceduto il posto a una manciata di maglie azzurre in campo non sempre consapevoli dei loro compiti. Un copione ormai noto nelle sue righe quanto nella sua scalcinata interpretazione.
La sensazione preponderante è che a Carlo piaccia complicarsi la vita da solo: ad esempio, perché privarsi di un Callejon che, ad ora, rappresenta l’unico riferimento tattico di una squadra già frastornata? Come mai, con l’infortunio di Malcuit, non si è provato a riportare Di Lorenzo a destra dove si sarebbe trovato sicuramente a suo agio? Perché relegare Llorente ad un ruolo da subentrante quando, proprio oggi, in una sfida così fisica, un centravanti di peso avrebbe riempito meglio l’area?
È chiaro che il risultato spinge più facilmente alla disapprovazione; che una vittoria anche stentata avrebbe sicuramente ammorbidito gli animi dei tifosi. Ma la prestazione, e quindi la realtà, sarebbe rimasta sempre la stessa: al Mazza, per l’ennesima volta, è scesa in campo una squadra spaesata e sfilacciata, troppo poco cattiva per capitalizzare il gioco che comunque, in maniera disorganica, produce, ma al contempo non abbastanza precisa nel perseguire le velleità di tenere il pallino del gioco con costanza. Nessuno dei quattordici elementi che hanno figurato sono stati esentati dalla solita serie di errori banali e da una certa mancanza di stimoli che, a questo punto, si percepisce come entità palpabile.
Della trasferta spallina si può salvare davvero poco, ma la preoccupazione non proviene tanto dalla performance sbagliata, quanto per il fatto di essere divenuta emblema di una serie di difficoltà regolarmente palesate nei confronti di compagini meno blasonate. Se è vero che i campionati si vincono contro le piccole, possiamo tranquillamente cestinare le dichiarazioni improvvide di inizio stagione (se mai qualcuno ci avesse creduto), alimentate da Ancelotti e seguite a ruota, fisiologicamente, dal resto degli azzurri. Ad aggravare il tutto, la necessità di trovare un antidoto a questa evidente mancanza di stimoli, soprattutto verso le compagini provinciali.
Forse, è giunto il momento di compiere un passo indietro e dimensionare le velleità individuali di un gruppo di indubbia qualità, ma inefficace nell’individuare l’elemento che sale in cattedra nelle fasi difficili. Un ritorno all’organizzazione corale, che assecondi spontaneamente le peculiarità dei singoli giocatori, potrebbe rappresentare un modo per ridurre i rimpianti di una stagione dove i punti in meno pesano già parecchio. Anche perché di Cenerentole armate se ne incontreranno ancora.