Capiamoci.
In un mondo in cui comandano ambizione e denaro giudicare scelte professionali diventa difficile, complicato.
Ma tra i due uomini in foto, a mio giudizio, c’è un abisso.
Da una parte un potenziale fuoriclasse con un’idea di pallone superiore ed anomala per essere un centravanti, un fuoriclasse che non è mai stato tale fino in fondo e mai lo sarà perché troppo debole nella gestione della pressione.
Porte e coglioni che si restringono in automatico nei momenti che contano, la scelta di lasciare Napoli per risentirsi ciò che al Real gli avevano fatto capire non fosse, un top player da grande squadra.
Piccolo uomo, Gonzalo. Piccolo non nella scelta, scelta logica, prevedibile, per certi versi scontata, ma proprio piccolo nello spessore complessivo di essere umano in mezzo al campo e di riflesso fuori.
Dall’altra, il toscano geniale e mediocre che, per il sottoscritto, è infinitamente peggio.
Non gli bastava il genio espresso nel rettangolo verde, doveva finger di sfidare il sistema non per indole e coerenza intellettuale, ma solo perché tale sistema non lo accettava e non ne riconosceva il talento.
Appena avuta la possibilità, al cospetto del sistema che combatteva come un novello Don Chisciotte, il buon Maurizio si è messo a pecora, gettando nel cesso in pochissime parole tre anni di 081 di cui si è impropriamente riempito la bocca.
Doveva chiuderla quella bocca, Maurizio, insegnare calcio e basta. Troppi debiti fatti con il linguaggio del corpo e con le parole, troppa partenope nei suoi concetti, troppo Bukowski per poi palesarsi a braccetto con Nedved, Agnelli e Paratici.
L’argentino triste ha tradito soprattutto se stesso e ciò che poteva essere andando via da Napoli, il toscano ha tradito ciò che è stato e Napoli tutta.
Mai più nessuno dei due in 1926 ma, fucile alla testa, prendo Gonzalo.