Una volta non era “solo la maglia”?
Uno, uno e mezzo, tre, tre e mezzo, stiamo dando i numeri da una settimana. Tutto questo perché?
Perché dobbiamo ostinatamente etichettare l’infame.
Dobbiamo a tutti i costi sapere se il colpevole del probabile addio di Mertens è Aurelio De Laurentiis, reo di aver trafitto il cuore ormai napoletano del belga oppure se è il folletto ex PSV ad aver inseguito la vile moneta.
Ma a cosa serve tutto ciò oltre a vendere giornali e cliccare spasmodicamente sul link più intrigante in cui ci si imbatte?
Quand’è che ci si renderà conto che si insegue il nulla?
Quand’è che capiremo che al mondo non esiste nessuno che ama il Napoli più di se stesso? (e ci aggiungiamo pure giustamente)
Aurelio De Laurentiis può fare tutti i proclami che vuole, può definirsi napoletano, amante di questa terra, di questa maglia e di questi colori, può esternare il desiderio di vincere il tricolore ma le sue azioni saranno sempre mosse dai conti, dalle finanze, dagli investimenti, dalle entrate e dalle uscite. E, anche in questo caso, diciamo: giustamente.
I calciatori, in questo caso Mertens, può apprezzare l’indole del napoletano, il suo stile di vita, le bellezze naturali della città, il mare, la pizza e il mandolino ma tutto ciò non prevaricherà mai la sua gratificazione personale fatta di danaro, di futuro familiare, di richiamo della terra natia.
E tutto questo non vuole dire affatto che siano pessimi entrambi.
Non vuol dire che a Napoli non si siano affezionati. Non vuol dire che una volta lontano anni luce dalla realtà napoletana sia il Presidente che Dries non ne avvertano la mancanza.
Ma l’amore per se stessi, la voglia di gratificarsi e sentirsi importanti attraverso lauti introiti è una esigenza umana che coesiste e convive senza intoppo alcuno con l’affetto che li lega (o li può legare) ad una realtà che vivono da anni.
A noi non piacciono gli attacchi che De Laurentiis sferra ai suoi tesserati con la finalità di metterli in cattiva luce agli occhi dei tifosi.
Ma non ci piacciono nemmeno i proclami di amore eterno rivolti dai calciatori ad una maglia, ad un popolo e a dei colori se poi dinanzi ad una cifra comunque a sei zeri si sceglie di fare le valigie e andar via.
Se ciò che offre Napoli fosse davvero così unico Dries (ma non solo lui), resterebbe qui anche a costo di guadagnare “appena” novecentomilaeuro l’anno.
E, invece, non ci pensa nemmeno. Giustamente.
Come non c’hanno pensato i vari Cavani, Lavezzi, Hamsik, oggi ricordati come icone intoccabili. Vedremo quanti di loro torneranno a vivere qui per amore della città e dei napoletani.
L’inciucio non attecchisce sulla nostra pelle. Il pettegolezzo spicciolo non fa altro che catalogare questa città – ancor di più – come una realtà provinciale.
A noi piace stare sull’altra sponda: amiamo tutti coloro che danno il loro contributo per questa maglia, consapevoli del fatto che svolgono una attività lavorativa, che essa non pregiudica un loro (eventuale) attaccamento affettivo alla realtà napoletana ma, anche, del cinismo e dell’egoismo che, giustamente, subentra nel momento in cui si tratta la materia danaro.
Perchè – dunque – sporcare? Perchè infangare?
Le emozioni che ci ha donato Dries rimarranno custodite nei nostri cuori per sempre e se il matrimonio non dovesse durare le cause non ci riguarderanno. Diremo un infinito grazie di cuore e buona vita.
Stesso discorso varrà per il Presidente.
Non il migliore in assoluto, non quello che ci ha fatto vincere lo scudetto ma, sicuramente, quello che ci ha regalato delle emozioni forti.
Se e quando andrà via, diremo un grande grazie anche a lui.
Nel frattempo – però – Napoli e i napoletani meriterebbero di vedere il Presidente e Mertens spiegare, con chiarezza, come stanno le cose, invece di essere gli ennesimi protagonisti dell’ennesima commedia napoletana.