La serata comincia maluccio. Comincia moscia.
La fiaccatura è nell’aria, sui volti, e pure sul campo.
Il ciuccio ha la solita fisionomia: le catene eseguono i consueti movimenti, la difesa regge, nonostante si alternino gli uomini in tutti i reparti.
La qualità complessiva è leggermente sotto la media, la misura dei passaggi non esplicita la perfezione di sempre, ma ci va vicino.
I minuti scorrono e la gara non decolla, il cuore non batte forte, l’adrenalina rimane sopita.
Il tarlo è nel ritmo: lento, compassato. E’ il sintomo di una stanchezza, forse, sia fisica che mentale.
I movimenti senza palla sono pochi. Le occasioni azzurre, anche.
La manovra è compassata ed inequa: si calpesta la fascia destra maggiormente di quella sinistra. Di Lorenzo e Politano, seppur senza lucidità, dialogano più di Mario Rui e Raspadori che giocano all’indovinello del muto e del cieco. fanno il gioco dei mimi.
L’Empoli non ne approfitta in termini di pericolosità offensiva ma l’autostima sale minuto dopo minuto.
Qualche galoppata offensiva cestina le speranze empolesi nella mediocrità tecnica che li rappresenta.
Termina la prima frazione e, fino al munito 63° l’unica vera occasione è una rasoiata a fil di palo di uno spento ed impreciso Raspadori.
I tre punti a casa li porta la panchina azzurra, vera arma in più di questa stagione:
Al minuto 63 entrano Zielinski, Elmas e Lozano.
Il messicano trasforma con un rigore “sfastriato”, e forse generoso, conquistato da Victor Osimheh.
Segue l’espulsione di Luperto che accelera il giro palla azzurro, l’entusiasmo, l’aggressività, e pure l’entusiasmo dei tifosi.
Zielinski la chiude al minuto 88°.
Un minuto dopo Meret decide di partecipare alla festa con una parata alla Garella su Bajrami.
L’immagine di Spalletti seduto sul frigorifero sembrava l’emblema di una fuga congelata.
Non era altro il simbolo del gelo calato sulle inseguitrici della capolista.
Un rigore e una Rosa di altissimo livello, consentono al Napoli di continuare il suo trionfante cammino.