L’ha vinta lui, il comandante.
L’ha vinta assieme alla sua Lazio. Una grande Lazio.
Al pronti via sono i romani a spaventare il Napoli: Di Lorenzo spedisce in calcio d’angolo una palla destinata a mandare i biancocelesti in vantaggio.
Grande porzione di terreno verde è inutile: si gioca in venticinque metri. Maurizio Sarri disegna la Lazio in un fazzoletto e costringe il Napoli a giocare lì o meglio, a provare a farlo.
Gli azzurri non vi riescono, non trovano spazi, sbagliano tanto, grazie alla presenza asfissiante di laziali.
Lazio corta, densità centrale con Luis Alberto e Milinkovic che pressano alto facendo diventare quello della Lazio un Il 4-3-2-1 in fase di non possesso, con i due esterni alti più arretrati dei due centrali di centrocampo. Nasce così la gabbia per la fonte di gioco azzurra.
E’ Zielinski che si abbassa spesso a fare il Lobotka per provare a ridare libertà allo slovacco.
Spalletti è pensieroso. Sarri scrive talmente tanto che ci si chiede dove trovi il tempo per osservare.
Non è il solito Napoli. Ma non è manco la solita Lazio.
I laziali giocano liberi di testa, con coraggio e tanta qualità.
Al 20° Kim mura Milinkovic e mette la prima firma in calce ad una prestazione maiuscola.
Si mettono anche i centimetri della Lazio a spaventare gli azzurri. Ogni calcio d’angolo è un patema.
Sul fronte azzurro Kvaratskhelia è imprescindibile anche se non fa nulla perché non sai mai quello che sta per fare.
La prima frazione si chiude e qualcuno tira pure un sospiro di sollievo nella speranza che la sapiente mano di Spalletti possa invertire la rotta.
Inizia il secondo tempo e Patric sembra Skriniar. Tanta paura per tutti ma epilogo per fortuna diverso.
Oliveira stasera non si chiama né Mario né Rui.
Si rivedono stralci di Napoli, la Lazio si stanca e si allunga.
Zielinski strozza al 58°. Kim è il supereroe senza maschera.
Quando la strada sembra in discesa sulla carreggiata cade un fulmine, quello scagliato da un Vecino che tira da lontano e fa secco un incolpevole Meret.

Incredulità è quella che cala al Maradona. Non eravamo più abituati.
Al 78° Kvara pennella come Raffaello, Osimhen incorna sull’incrocio, Kim esalta Provedel.
Dombelè al minuto 85° ci dice definitivamente che non è serata.
Ci separano dalla fine l’arrembaggio e una serie di sostituzioni e cambi tattici che non cambiano nulla.
Termina così. Con una sconfitta che riporta il Napoli sulla terra e una Lazio che si esalta alla guida di un uomo troppo grezzo, troppo innamorato del gioco del calcio, troppo competente, troppo maestro, per far bene in una squadra come la Juventus.
Assurdo. Come la situazione vista al Maradona all’interno del quale i tifosi della Lazio riescono a portare petardi a volontà al cospetto dei napoletani a cui è stato vietato l’ingresso di bandiere, striscioni e tamburi.
Meglio pensare al campo, seppur terreno di sconfitta.
Non è successo niente. Niente. La marcia trionfale procede.
Ma è il caso di ricordare che è meglio riporre torte, dolcetti e maschere nere da ogni angolo della città.
Soprattutto quando si vede Orsato sullo sfondo di ogni ripresa dell’operatore bordocampista.