Non si tratta di essere pro o contro Maradona. Qui non si discute dell’importanza storica del campione argentino per il Napoli e per la città partenopea. E’ un problema di immagine, ricordi ed emozioni che, a causa di questa continua esposizione mediatica cui è esposto, rischiano di venire ricoperti, evento dopo evento, da un’oscura quanto dilagante nausea.
Il prossimo 5 luglio, piazza del Plebiscito ospiterà l’ennesimo evento dedicato al Pibe de Oro, invitato per ricevere il (prestigioso?) riconoscimento di cittadino onorario della città di Napoli.
Noi ci chiediamo: tutto ciò a distanza di quasi trent’anni dal suo addio alla città? Che senso ha un riconoscimento del genere se calato dall’alto inaspettatamente e anacronisticamente?
Diego Armando Maradona ha conquistato la sua onorificenza nel tempo in cui si è impossessato dello scettro della città mostrandolo con orgoglio e spirito di appartenenza. Diego, quel titolo, lo ha conquistato di diritto allorquando si è erto a instancabile sostenitore dei colori azzurri.
Ci perdonino gli organizzatori, ma a noi, quella del 5 luglio, consegna solamente il sapore amaro di una mega trovata pubblicitaria.
L’icona ormai stra-abusata del campione argentino piuttosto che essere combustibile di un amore incondizionato si sta trasformando in noiosa e deturpante abitudine. Il Diego da poltrona è ovunque, spiattellato senza mezzi termini a destra e manca.
Dove è finito il fascino dell’irrangiungibile? Quanto ci mancano le rare ma esplosive interviste-fiume di Gianni Minà al campione argentino?
Per non parlare, poi, dello sciame di inevitabili polemiche che seguono ogni iniziativa che lo riguarda: non ultima quella relativa al compenso chiesto da Diego per presenziare il Piazza del Plebiscito la sera del 5 luglio.
Noi non vogliamo entrare in merito alla questione, servirebbe solo ad insudiciare ulteriormente l’immagine del Re.
A noi Diego piace ricordarlo come una essenza sublime che rende soave la nostra atmosfera senza consentirti il contatto, se non di rado. Questo è fascino. Questo è brivido. Questo è emozionante ricordo.
Già, il ricordo. Quello di cui non possono godere le nuove generazioni. Ai piedi dell’Imperatore che fu non vi era lo stesso popolo che adesso lo osanna. O perlomeno non tutto quel popolo. Noi c’eravamo e la differenza la notiamo. Lo sciame di tifosi azzurri che adesso lo acclama è composto anche da giovani e giovanissimi che sono animati solo dalla storia, dai racconti, dalle letture, spesso fredde, prive del brio che animava chi c’era davvero. Ascoltare oggi il coro “Diego, Diego…” non è la stessa cosa. Quello, era un’onomatopea indescrivibile, composta dall’infinita gratitudine per l’aver ricevuto un dono atteso una vita: la ribalta. La stessa che oggi si implora a De Laurentiis con un’illogica e dequalificante pretesa. Oggi, ascoltare lo stesso coro, ci dona solamente un ridondante e quasi scolastico ritornello.
E allora diciamo basta. Freniamo l’ascesa inarrestabile del deturpamento di un’icona e impariamo a preservarla, curarla, renderla eterna attraverso un gesto semplice e banale: la sua imbalsamazione e la conseguente conservazione in un’intoccabile ampolla di vetro.
Diego riponiamolo lì. Mettiamo a tacere il rumore mediatico che lo circonda e diamo spazio al silenzio. Il connubio Maradona-ricordo è l’unico che rievoca sensazioni vere, ed è l’unico capace di rendere questo folle sentimento un amore eterno.
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