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Scimmie a San Siro

Dunque eravamo a San Siro. Hai presente, no? Più di 60mila persone allo stadio. Mancavano dieci minuti alla fine. Avevamo sbagliato tanto, ma la partita era equilibrata e cercavamo di affondare. A un certo punto arriva ‘sto Politano, uno che qualche mese prima stava per venire da noi. Eravamo scoperti. Lo blocco, non ricordo se fosse fallo o no. Altri ululati. Pèrchè sono negro. E’ dall’inizio della partita che queste scimmie ululano per il colore della mia pelle. Che gridano i soliti cori contro i napoletani, contro i miei fratelli.
Non ci ho visto più, ho applaudito. L’arbitro mi caccia. Alla fine abbiamo perso.
Lo so, ho sbagliato, ma per la miseria! Hai idea di cosa voglia dire andare ovunque e sentire ululati? Da migliaia e migliaia di persone. Ogni maledetta domenica. E sai che sei un professionista. E sai che guadagni paccate di soldi. E ti dicono che le guadagni pure per sopportare queste cose. Per essere più forte di quelle scimmie.
Ma io quel giorno ero tanto felice. Avevo appena detto a tutti che avevo rinnovato col Napoli. Dove mi avevano accolto. A me che non ero nessuno e che venivo da una squadretta belga. Non avrei dovuto cedere a quella rabbia cieca. Quella rabbia di chi non sopportava più tutta questa ignoranza. Era il giorno dopo Natale. Il Natale italiano dell’Italia delle rivendicatissime “radici cristiane”. E a me che sono musulmano è stato spiegato che Gesù amava gli ultimi. E allora amerà sicuramente quelle scimmie, che sono gli ultimi, con un cuore povero e vuoto.
E sì che il mio allenatore aveva chiesto tre volte di sospendere la partita. E lui sì che il mondo lo aveva visto. Lo aveva girato, vissuto ed era entrato in contatto con tutte le culture possibili. Ma niente, l’arbitro italiano non ne ha voluto sapere. Perchè -in Italia dicevano- sono solo sfottò da stadio. Eppure -amico mio- mi hanno insegnato che le parole possono essere carezze o pietre. E non c’è niente di casuale. E proprio Carlo era stato chiaro dopo la partita. “Se succederanno ancora queste cose e non sospenderanno la partita, saremo noi a fermarci”. In faccia a tutti, in conferenza stampa. Ebbi la sensazione che qualcosa potesse cambiare. O forse volevo illudermene. In fondo, solo qualche mese prima c’era stato un arbitro che aveva sospeso la partita. Era a Marassi. Dopo quella partita, lo spedirono ad arbitrare gli Allievi.
Altri dicevano che invece era per mettere pressione all’avversario. Eppure io ho sempre pensato che fosse giusto che un professionista avesse il dovere di reggere alle tensioni emotive più pressanti, legate alle partite. Ma ho sempre trovato inaccettabile dover esser costretti a sopportare anche l’onta e la pressione per il mio essere negro e per giocare per la squadra dei miei fratelli di Napoli. Alcuni hanno addirittura detto che “è stato San Siro ad espellere Koulibaly”. Io preferisco pensare che è stata colpa mia. Ma alle volte pensavo ai miei amici Sadio e Salif che giocavano a Liverpool e a Gelsenkirchen e mi dicevano sempre che da loro non accadevano queste cose. E io ascoltavo i loro racconti sempre con invidia. Fantasticando su come sarebbe stato bello anche perdere, ma sentire i tifosi dei nostri avversari cantare per la loro squadra. Come quando a Firenze perdemmo lo scudetto. Te lo ricordi? Sì sì, avrei pianto lo stesso, ma quanto sarebbe stato meglio non sentire la Fiesole cantare “Abbiamo un sogno nel cuore, Napoli usa il sapone”! E tu sai bene cosa avrei dato per vincere quella partita.
Amico mio, tu lo sai che noi c’abbiamo la Teranga, l’ospitalità. E non siamo abituati a queste cose. Io non ero abituato e ho imparato che era difficile essere negro in Italia in quegli anni. Perfino per me che ero un privilegiato. Era una tragedia per i nostri fratelli che venivano coi barconi, che morivano, che vivevano in povertà, che dovevano essere presi per culo e sentirsi chiamati stupratori o, alla meglio, “risorse” o essere insultati in uno stadio di calcio.
Eravamo chiamati scimmie da delle scimmie. E ci odiavano perchè la loro vita era misera. E allora sì, hai ragione. Ho sbagliato. Non dovevo reagire. Dovevo chinare il capo davanti all’odio da bravo negro in Italia. Perchè in quel tempo, in Italia, se alzavi la testa davanti agli insulti eri tu quello sbagliato. Mentre quelli la’, le scimmie, sempre impunite. Anzi a volte anche a braccetto con qualche Ministro della loro Repubblica.
Quindi sì, chiedo scusa. Sono solo un uomo, non un cyborg.
“Orgoglioso del colore della mia pelle. Di essere francese, senegalese, napoletano: uomo”.
Viva viva ‘o Senegàl.

 

About author

Fabio Cotone è regista teatrale. Appassionato di scienze umane.
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