Fiorentina – Napoli mi evoca tanti ricordi, fantastici e orribili. Dal gol di Monelli alla Befana dell’87 si mette in fila una sequela di immagini che la metà basterebbe per fissare un concetto importante: chi pensa che al Franchi si vada in gita stia pure a casa a riposare.
A proposito di riposo, sono in vacanza. A Corfù ci sono tanti napoletani e tra un Chelsea corsaro a Norwich e uno United che le prende in casa dal Crystal Palace iniziamo a guardarci intorno, alla ricerca di una tv sintonizzata sul canale giusto.
Il bar che ci viene indicato, visto dalla distanza di 50 metri, somiglia già a qualcosa di familiare.
La partita è già iniziata da qualche minuto, non faccio in tempo a sedermi che vedo già tutti assorti a guardare l’arbitro, i replay e la corsa verso il monitor del Var. Rigore per la Fiorentina, che una volta messo in porta fa calare in sala un silenzio glaciale.
Capisco che se le cose andranno come devono andare, quella ventina di persone assiepate sotto al televisore daranno vita ad uno show a me noto.
Ed eccolo lo show, che inizia in campo con una pennella “alla Insigne”, tracciata però da Mertens. Nemmeno il tempo di esultare che spontaneamente parte il coro:
“Sarò con teee
E tu non devi mollareee
Abbiamo un sogno nel cuoreee
Napoli torna campioneee”
Dopo qualche minuto, il coro di cui sopra soppianta qualsiasi discussione sull’esistenza o meno del rigore su Mertens. Provo timidamente a chiedere a un mio vicino di tavolo “ma l’ha toccato?”. Mi viene gentilmente risposto “Abbiamo un sogno nel cuoreee…”.
Secondo tempo. La Fiorentina calerà alla distanza, non può correre novanta minuti a quei ritmi. Siamo in vantaggio e prima o poi inizieremo a palleggiare. Serpeggia un certo ottimismo.
Ci pensa Nikola Milenkovic a riposizionare il nostro entusiasmo, con uno stacco da calcio d’angolo sul quale non avremmo dovuto soffrire più di tanto, vista la simultanea presenza di Koulibaly e Manolas. Ma fa niente, ripartiamo.
All’improvviso squilla un telefono. Un ragazzo in prima fila risponde “o’ver fai?”, girandosi poi verso di noi urlando “ha signat Callejon!”.
Complici i diversi tempi di ricezione del satellite, dopo trenta secondi Jose infila il pallone del 2-3. La versione partenopea di “non spoilerare” è “a prossima vota fatt ‘e fatt tuoje, nunn ‘o vulimm sapè”. Il ragazzo del telefono guarda tutti con aria rammaricata.
Poi entra Boateng, Sky regala l’ennesimo primo piano a Ribery e dalla platea partono battute del tipo “chist hann fatt ‘o calciomercato ch’e sord ‘e ll’Inps”.
Ma il tempo dell’ironia finisce quando Prince indovina un mancino da biliardo, bello almeno quanto quello di Callejon.
Tre a tre, dobbiamo soffrire ancora. È proprio allora che il Napoli compie un viaggio indietro nel tempo, tornando a quell’aprile del 2018 e a quei tre palloni presi inopinatamente e senza mai scendere in campo. Lo scudetto perso in albergo lo chiamò quell’uomo che oggi siede sulla panchina della Juve. Quella stessa Juve che nel tratto di Autosole compreso tra San Siro e Campo di Marte scippò il tricolore dal petto degli azzurri.
Taglio di Callejon, servito da Mertens dove la linea dell’area piccola incontra quella di fondo. Tocchetto di piatto dello spagnolo, quanto basta per non ricordare a Insigne del suo metro e qualcosa di statura. Lorenzo la mette dentro di testa e appena il pallone varca la linea qualcuno là in mezzo urla “ma che r’è… è turnat Sarri?”.
Sì, penso dentro di me. Se in quel tramonto di campionato 2017/18 il Napoli e la Juve avessero giocato in contemporanea sarebbe andata proprio così: taglio di Callejon, palla in mezzo e gol di Insigne.
È un vaccino che assumo prima delle polemiche sul rigore dato al Napoli e su quello non dato alla Fiorentina per fallo di Hysaj su Ribery, dai quali sono partiti i soliti, sterili processi alle intenzioni.
È così che doveva finire, ma pensiamo alla prossima. Non a caso la canzone parte con un verbo coniugato al futuro. Sarò con te!