Una volta per tutte, sarebbe ora che qualcuno iniziasse a parlare in modo serio e obiettivo dell’argomento violenza verbale pubblica. E’ questa la locuzione giusta da usare nel momento in cui un gruppo più o meno numeroso di persone assumano un comportamento incivile in un luogo dove sono presenti telecamere, persone che in un modo o nell’altro la pensano diversamente e addetti ai lavori pagati per monitorare certi fenomeni.
Non faremo omissis, perchè è giusto che di certe cose si parli e, soprattutto, se ne sottolinei in modo specifico il contenuto.
Facciamo una piccola premessa. Cantare “noi non siamo napoletani” non è discriminatorio, è un po’ come dire “chi non salta è…”. Cantare “ma che lingua parlate?” è discriminatorio perchè identifica persone che, in condizioni normali, non rivolgono la parola ad altre persone solo perchè si esprimono in un certo dialetto o utilizzano una certa cadenza.
Per non parlare poi delle solite disgrazie augurate a chi, solo per motivi calcistici, deve vedersi eruttare un vulcano davanti agli occhi, malaugurio condito dalla solita ipocrisia e contraddizione di chi è di parte calcisitica avversa ma vive a pochi metri dal cratere del Vesuvio. Ogni riferimento al club Juve di Cercola è puramente casuale.
Ma della nostra violenza verbale chi ne parla? I cori dei bresciani, dallo stadio come in tv, erano appena udibili mentre si ascoltava distintamente il coro “bresciano bastardo sei tu”, da gran parte dello stadio e per diverso tempo. Come la mettiamo con gli incivili di provenienza nostrana?
Bastardo è un termine chiaramente ingiurioso, è ovvio che se lo si associa ad un popolo l’espressione diventa discriminatoria. Perchè se è vero che “Vesuvio lavali col fuoco” indica l’augurio di una sciagura per il solo fatto di essere napoletani, “bresciano bastardo sei tu” associa il concetto di poco di buono ad un abitante del capoluogo lombardo.
C’è poco da dire, da scrivere e, soprattutto, da fare le vittime. La maleducazione si annida anche a Napoli e sbaglia chi non la stigmatizza o, peggio ancora, pensa che sia una legittima reazione a un torto subito. Non merita commento chi fa finta di niente, lamentandosi al contempo degli allenatori che usano la stessa scusa laddove non sono autorizzati a parlare dell’argomento.
Il culmine di questo discorso, nei giorni in cui si attaccano Greta Thunberg e Ilaria D’Amico solo perchè esseri umani di sesso femminile che hanno osato intralciare, con i loro dispettosi comportamenti, il trionfale incedere del Maschio Alfa, riguarda Diletta Leotta. Ma facciamo un passo indietro.
Qualche settimana fa, era ancora estate, si sono conclusi diversi tornei di beach volley a livello internazionale. Il sito di un famoso quotidiano sportivo nazionale commenta la finale maschile con una foto di un normale momento di gioco, mostrando punteggio e parziali dei singoli set.
La finale femminile, al contrario, è introdotta da una foto di due atlete per terra, con i fondoschiena in primo piano e una didascalia che lascia poco spazio ad interpretazioni: “Che spettacolo!”. Più che il commento a un torneo agonistico sembrava la locandina di un film hard.
In qualche modo, questa è la naturale prosecuzione del cattivo gusto mostrato dai giornalisti a commento dell’ultimo mondiale di calcio femminile. Tra orientamento sentimentale delle atlete, baci in bocca ad altre donne poi scopertesi sorelle, livello infimo del gioco sottolineato fino alla noia, è legittimo credere che la differenza tra i due sessi risieda in un semplice concetto: gli atleti uomini sono idoli, eroi, alle donne è concessa la ribalta di un oggetto sessuale, prestato a pratiche tipicamente maschili senza averne la capacità.
Diletta Leotta, dicevamo. E’ giovane, bella, si presenta molto bene e parla a briglia sciolta degli argomenti che tratta. Ci sono tutti gli ingredienti per mettere in scena il solito becerume moderno.
I suoi profili social (colpevolmente non moderati dalla stessa giornalista) sono teatro delle più sconcertanti, volgari e triviali offese da parte dei suoi “ammiratori”. Si va dai complimenti spinti che rasentano la molestia alla metafora dell’amplesso. E’ un fenomeno tanto diffuso quanto inspiegabile, perchè non ci risulta che Diletta sia l’unica giornalista carina a parlare di calcio.
Ebbene, prima di Napoli – Brescia la bionda inviata di Dazn sfila sotto la gradinata del San Paolo e parte un coro: “fuori le tette!”. Le immagini sono immediatamente diffuse su qualsiasi canale social conosciuto, compresa la reazione di lei, che non si scompone, sorride e raggiunge la sua postazione.
Basterebbe già questo per creare un termine di paragone tutto basato sul cattivo gusto: se quella ai danni dei napoletani è discriminazione territoriale, qua siamo in presenza di discriminazione sessuale.
Ma l’aspetto più agghiacciante, come per il beach volley e il calcio femminile, è leggere come viene apostrofato il siparietto da parte dei siti napoletani. Non stupidità, non sessismo come sarebbe anche abbastanza ovvio ma coro hot o, se preferite, coro focoso.
Come a dire che quelli non sono imbecilli, forse sono solo innamorati. E noi ingenui non l’avevamo capito.