Che stavolta sia chiaro a tutti: il Napoli secondo in classifica era un miracolo. La squadra azzurra, al di là delle dichiarazioni societarie estive, frutto di entusiasmi ingiustificati e fuorvianti, non è mai stata costruita per vincere lo scudetto: né adesso, nè quando ha seguito gloriosamente la scia della Juventus capolista.
La bravura del Club partenopeo, nel corso degli anni, è stata quella di valorizzare buoni calciatori aumentandone a dismisura l’autostima. I risultati eccellenti degli ultimi anni sono stati soprattutto frutto di questa ottima strategia operativa.
Primo tempo da B. Secondo da Champions
Sassuolo-Napoli ha detto proprio questo. Una gara che ha mostrato due Callejon, due Allan, due Insigne, due Napoli. Ma allora quale è il reale valore dell’undici di Gattuso? Forse bisogna tornare ad attribuire il giusto valore agli schieramenti tattici, al metro più avanti o metro più indietro, la vera differenza la fa la testa. L’autostima, in presenza di una qualità tecnica di buon livello, è ciò che ti fa fare il reale salto di qualità.
Il gol di Allan, straordinario per preparazione e conclusione, ha rivoltato il calzino: gli inguardabili calciatori visti nella prima frazione di gioco si sono trasformati in quello che erano qualche mese fa. Le gambe tornato a girare, i ritmi salgono, l’intensità e la fiducia aumentano, le occasioni fioccano. Il Napoli ha vinto così la gara, sostanzialmente con gli stessi uomini del primo tempo, con lo stesso modulo, contro gli stessi avversari, dinanzi allo stesso pubblico ma con una testa diversa.
Un disastro solo congelato?
Il secondo tempo è uno squarcio sullo splendido Napoli che fu ma guai a ripetere l’approccio alla gara visto stasera: dieci minuti senza toccar palla, possesso completamente nei piedi degli avversari, lentezza nei movimenti. Si tornerebbe a parlare di uno scempio programmatico senza precedenti, di un declino lento ma inesorabile, di un fallimento di tutti.
Ripartiamo da questa vittoria, dai sorrisi ritrovati, dalle esultanze condivise e con un chiodo fisso: quel vertice basso che non ha ancora il suo padrone e non lo troverà, perlomeno fino al prossimo mercato.