Calciomercato, formazioni, ripresa del campionato, assegnazione del titolo, stipendi dei calciatori, come finirà la Champions League… ogni notifica che arriva, ogni notizia che leggo su questi argomenti, è un pugno nello stomaco. Acuisce la netta percezione di essere trattati come criceti in una dannata ruota che si sta inceppando ma che qualcuno vuole continuare a spingere. Quel qualcuno avrà le sue ragioni, certo. Si vive anche di questo, anche se in una fase storica come quella attuale, parlare di calcio stride tantissimo con gli scenari che da circa un mese siamo abituati a vedere.
Ma ci manca davvero tutto questo? Ci manca davvero quel sistema iper-gonfiato dai media e dalla dipendenza (e frustrazione) delle masse che ha dopato un business che era andato letteralmente fuori controllo?
Non voglio parlarvi di utopie, figuriamoci in un momento surreale come questo. Si dice che il mondo non sarà più come prima del Covid19, il che non è detto che sia un male visto lo sfascio a cui sembravamo destinati. E il calcio non era esente da questo destino. Dicevo, non voglio utopizzare gli effetti della crisi attuale, ma tra la bulimia di pallone a cui eravamo stati abituati e l’anoressia attuale, forse si potrebbe auspicare il ritorno a una via di mezzo. Tornare a guardare il calcio come uno sport. Solo uno sport. Senza tutto il contorno e le speculazioni eccessive che lo hanno sporcato e mercificato rendendolo solo un triste clone moderno dell’originale romantico dei tempi andati.
Così come l’uomo sta riscoprendo, in questi giorni di pandemia, le cose essenziali della vita, ripulendosi da tutto quanto di inutile aveva costruito attorno a sé, dovendosi gioco-forza accontentare del necessario, così il tifoso potrebbe uscirne modificato, potrebbe rendersi conto che non si vive aspettando la prossima partita e che nel mezzo, la vita, offre molto altro, di ben più importante. Sembra banale dirlo, ma non lo è realizzarlo. Panem et circenses è la ricetta vincente da millenni, per questo parlavo di un ragionamento forse troppo utopico. Però sarebbe già tanto ridimensionarne il fenomeno. Renderci conto che centinaia di milioni di euro per ingaggi, cartellini, diritti, probabilmente erano gonfiati da un business che con lo sport centrano poco o nulla. L’economia (e quindi il calcio) dei ricchi, degli sponsor, dei diritti tv. Sarebbe auspicabile perlomeno riflettere su tutto questo, guardarci dentro e capire se è davvero quello che vogliamo. Il dramma che stiamo vivendo ci sta offrendo un’occasione unica.
Pensate a quante volte vi siete sentiti stanchi persino di seguire le partite, dosateci dai potenti nello spezzatino settimanale. Io tante.
E allora la risposta è già lì, no? Basta renderci conto che siamo andati oltre. Che pretendere un’economia più equa passi anche da prese di coscienza di questo tipo. Parliamoci chiaro: il calcio è la punta dell’iceberg, l’ultima dose di un sistema economico drogato e i cui produttori sono da rintracciare in altri settori, politica in primis. Ma se il popolo (i tifosi) si rendesse conto della superfluità della maggior parte di quanto gravita intorno al calcio, forse riuscirebbe a sgonfiare questa enorme bolla e a normalizzare il sistema.
Insomma… forse possiamo tornare ad innamorarci del calcio. Non del suo business.
E noi? Avranno notato i nostri lettori che in quest’ultimo mese ci siamo quasi fermati. Forse, in maniera inconscia, abbiamo voluto lasciare spazio. Semplicemente lasciare spazio nella testa di chi ci segue e non ingolfarlo di chiacchiere inutili di cui in questo momento, francamente, non si sa che farsene. Non vogliamo essere una notifica da pugno nello stomaco, per intenderci. Non vogliamo essere il pensiero: “ma in una situazione come questa, si mettono a parlare di partite, calciomercato e ingaggi?”. Riprenderemo a farlo a modo nostro, in maniera discreta e non invasiva, rispettando la maturazione che ognuno di noi sta vivendo in questa fase storica.
Diciamo solo questo: tra circa un mese il nostro giornale spegnerà quattro candeline, speriamo intanto che il vento inizierà a soffiare in maniera diversa.