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Partenopeismi

L’azzurro non più amato

Sarà stato il cumulo di mortificazioni subite nel corso del tempo, oppure, più semplicemente, questa semplice frase a far sentire i napoletani perennemente in terra straniera: “benvenuti in Italia”.

Il campionato italiano di calcio è finito in anticipo per spalancare le porte a quello europeo. Il nome stesso del torneo ci riporta inequivocabilmente verso l’idea di un’espansione territoriale, ci lancia verso l’internazionalizzazione di un cosmo di dimensioni ridotte.

Eppure, l’azzurro del Napoli non finisce affatto per sfociare in quello della nazionale di calcio. Il napoletano calciofilo è nella migliore delle ipotesi indifferente all’azzurro della propria nazione. I più esagitati, i più rabbiosi, o forse semplicemente i più risentiti, lo odiano e lo disdegnano. Lo spirito di appartenenza alla nazione natia si è dissipato in un’atmosfera infestata da vecchi rancori e veleni dialettici.

Per toccare con mano le origini di tale processo bisogna affondare le mani in una melma densa e datata. Napoli non è mai stata libera di essere Napoli, con al seguito e in bella mostra le sue peculiarità, ma anche le sue criticità. E sono state proprio queste ultime ad essere dipinte con le stimmate della vergogna sulle candide gote dei cittadini del resto d’Italia. Napoli non è mai stata quella che meritava di essere: fonte di apprendimento. La sua diversità non è mai stata considerata una risorsa ma una lebbrosa singolarità.

Una città, quella partenopea, vista da molti come una metropoli dalle abitudini incomprensibili e mai condivisibili, talmente sporca da macchiare l’immagine di un’Italia troppo linda per essere accomunata. Una dissociazione espressa sempre e comunque, venuta fuori, soprattutto in ambito calcistico, con la stessa dirompenza con cui viene fuori la lava da un vulcano, forse lo stesso incitato più volte all’eruzione devastante ai fini di una tanto auspicata pulizia etnica. In giro per gli stadi del nord Italia in ogni coro, in ogni canto, in ogni inno, c’è Napoli, anche quando in campo il Napoli non c’è. Un modo ripetitivo e ciclico di manifestare e non far dimenticare a nessuno che Napoli va ripudiata. Sempre.

Il Ciuccio, ne ha sempre risentito, ed ha sempre portato con sè l’immagine di bestiola mortificata e bastonata. Specchio inscindibile di ciò che ha sempre provato il tifoso napoletano. Una sorta di inseparabile traslazione dalla società (in)civile al gioco del calcio. Napoli non si è mai sentita apprezzata ed accettata, e soltanto la geografia l’ha costretta ad essere calcisticamente una città italiana.

Dunque, spinto dalla rabbia ed il risentimento, il tifoso napoletano ha spesso paradossalmente tifato contro l’Italia. zenga-italia-90-990x546E quando Napoli ha avuto il suo condottiero principe la spaccatura è stata ancora più evidente: Italia-Argentina del 1990, semifinale del campionato del mondo, ne fu esempio timbrato nella memoria di tutti. In nessuna città del mondo si è mai giocata una partita così lacerante.
In quella occasione Napoli è una donna divisa tra l’amore per il proprio uomo e la lealtà verso la propria famiglia. Una donna combattuta tra il richiamo del sangue e quello del cuore. L’Italia riceve dalle tribune dell’impianto di Fuorigrotta parte del sostegno che però giunge sulle casacche azzurre vestita da dovere più che dal volere. Gli applausi per Diego, alla fine della gara, sono qualcosa che resterà nella storia del calcio mondiale.

Ma la storia continua, così come gli esempi di anti-napoletanità, focalizzati addirittura nelle presunte mancate convocazioni in nazionale di calciatori del Napoli a vantaggio di un filone pro-juventino saldo e radicato. A partire dalla nazionale targata Cesare Prandelli nel quadriennio 2010-2014 formata da un inseparabile blocco-Juventus, a finire all’attuale blocco-Juventus di Antonio Conte, pugliese di nascita ma juventino nel sangue. Agli occhi dei tifosi del Napoli, dunque, l’azzurro della nazionale è sempre stato un azzurro a strisce bianco-nere. Pretestuosa o veritiera che sia, questa visione delle cose non ha fatto altro che lacerare ulteriormente la spaccatura già esistente, ed ha spinto ancor di più Napoli ai margini del confine nazionale.

Ma è Napoli ad essere stata spinta, oppure la stessa Napoli ad essersi ritratta?

Forse entrambe le cose. Sta di fatto che il napoletano-italiano si appresta a vedere (forse) l’ennesima competizione europea nazionale senza un minimo di interesse e passione. Un dato di fatto triste, comprensibile ma non condivisibile. Un patos, quello per i colori della propria nazione, che forse andrebbe recuperato. Un senso di appartenenza che come un vecchio abito impolverato andrebbe rispolverato e indossato nuovamente. E se poi se ne continuerà a ricevere ancora offese e discriminazioni, vorrà dire che era nel destino di Pulcinella non avere la possibilità di togliersi la maschera e mostrare le sue incommensurabili qualità, ben oltre la facciata di napoletano furbo e scansafatiche.

 

About author

Guido Gaglione è docente di arte e immagine, operatore di ripresa e giornalista pubblicista dal 2015.
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