Si stimano ma non si amano. Potrebbe essere questa la sintesi estrema che inquadra il rapporto tra il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis ed il suo allenatore, Maurizio Sarri.
Le strade dei due si sono incrociate l’estate scorsa allorquando il numero uno del Napoli ha contattato l’ex mister dell’Empoli per testarne tempra e affidabilità. L’incontro diede esito positivo e il buon Maurizio, inorgoglito ed emozionato, salì subito a bordo del fuoristrada lasciandosi alle spalle una rodata utilitaria finita poi tra le mani di Marco Giampaolo.
Ma Aurelio e Maurizio caratterialmente non hanno mai fuso le rispettive inclinazioni, non hanno mai avuto modo di incastrare e far combaciare le relative peculiarità. Dinamico, esuberante, esplosivo, dirompente, esposto, oratore, poliglotta il Presidente. Riservato, contenuto, concreto, introverso, monotematico, il tecnico.
A confermare taluna tesi ci ha pensato lo stesso Aurelio De Laurentiis che a margine di un evento mondano ha rilasciato le seguenti dichiarazioni a Premium Sport:
“Lui fuori dal campo è talmente concentrato, così parossisticamente scaramantico che è difficile frequentarlo, è difficile smuoverlo, trascinarselo dietro uno spettacolo, una conversazione di qualunque altro genere. Lui vuole essere così ed io lo rispetto per quello che è. C’ho messo un pò di tempo a capirlo, ma non si può ottenere tutto dalla vita, lui è bravo sul campo ed è giusto che sia così. Pensate se fosse stato frequentabile ma sul campo un pò “scarzulillo”…insomma, meglio così, no?”.
Dichiarazioni che lasciano trasparire senza troppi aloni una grande stima professionale condita dall’impossibilità di praticare frequentazioni extra lavorative. Affermazioni vestite da Sindone su cui sono impresse le fattezze della loro unione.
Ma la nostra attenzione non vuole concentrarsi sulla negatività dello spunto. Non vuole assolutamente evidenziare il fatto e vestirlo di nero. Piuttosto, forse, bisognerebbe uscire da un grande equivoco.
Perchè mai una non perfetta sintonia caratteriale deve automaticamente far scattare una sensazione di negatività? Perchè mai diversità caratteriali, incompatibilità temperamentali, non possono lasciar spazio a successi lavorativi comuni? Perchè mai lo scenario deve essere inevitabilmente quello del “disastro ambientale”?
La storia non c’insegna questo. Il calcio ci dona esempi che vanno in una direzione diametralmente opposta, anche in casa nostra.
Ci riferiamo agli anni più belli vissuti dal Calcio Napoli, quelli che hanno portato all’ombra del Vesuvio trofei mai più transitati da questa parti. Soprattutto nel periodo compreso tra i due scudetti. Nonostante Napoli giacesse ancora sul mare, il clima non era affatto sereno.
Anni ruggenti, quelli. Da tutti i punti di vista. Quando Napoli e i napoletani si inorgoglivano dinanzi alle vittorie e allo splendore dei suoi rubini pregiati di matrice sudamericana, ma in un contesto vincente e vittorioso c’è stato anche il tempo per perdersi per strada uno scudetto e dare il via ad un turbinio di polemiche che parvero infinite.
L’integerrimo Ottavio Bianchi, l’accigliato e serioso mister del tanto agognato primo scudetto, non era un uomo particolarmente amato. Nel mese di maggio del 1988 venne fuori la tempesta dai soffitti dello spogliatoio partenopeo, con lampi, fulmini e saette come si conviene ad un imponente temporale di fine estate, in grado di lasciare i segni del suo passaggio. Ma i dissapori e le incomprensioni di quel momento affondavano le proprie radici anche nella stagione vittoriosa del primo scudetto.
Eppure, quella, è stata sportivamente parlando la stagione più bella di tutta la storia del Calcio Napoli.
Ma è nella stagione in cui il Napoli perse incredibilmente lo scudetto che si ufficializza la spaccatura, in un momento topico della stagione, nonostante ci fossero i margini per vincerlo ancora, quel tricolore.
Garella, ancora in accappatoio, esce dallo spogliatoio con in mano un foglietto pieno di cancellature e correzioni, scritto con una biro blu, ed in maniera sintetica ma tagliente si schiera pubblicamente contro il tecnico. La polemica divampa, e dall’Argentina, gli fa eco anche Diego Maradona, che non disdegna affatto di gettare benzina sul fuoco: “Bianchi mi deve spiegare perché alcuni miei compagni sono stati liquidati”. Il tecnico rispose a muso duro: “A Maradona non devo spiegare nulla, quando diventerà Presidente del Napoli se vorrà mi licenzierà”.
Il bisticcio fu composto con una stretta di mano a Lodrone nella Valle del Chiese. Ma i battibecchi continuarono. Era fuori discussione che i due si stimassero professionalmente, ma i caratteri forti e le idee spesso contrastanti venivano spesso fuori, spesso fino allo stremo, anche dinanzi ai compagni di squadra che assistevano ai teatrini occasionali a titolo rigorosamente gratuito.
Ma anche in questo caso, nonostante la temperatura dello spogliatoio fosse rimasta sempre piuttosto alta, le tensioni umane sfociarono l’anno successivo nella conquista della Coppa Uefa, l’ambito trofeo europeo che tutt’oggi resta l’unica affermazione in campo internazionale degli azzurri.
Litigi, incomprensioni, diatribe, diversificazione delle vedute. Ingredienti presenti ovunque sia presente l’uomo, quello vero, quello che ha carattere, quello che non teme di dire la sua, quello che ha il fuoco dentro. Gli obiettivi professionali comuni viaggiano sempre su di un binario parallelo, ed è errata la teoria secondo la quale divergenze di qualsiasi genere possano far finire la corsa al successo sulla sbarra di un passaggio a livello chiuso.
Per noi parla la storia, parlano gli almanacchi, univoci nell’affermare senza timore di smentita che i successi degli azzurri dell’epoca maradoniana hanno coinciso perfettamente con quelli delle diatribe che hanno incendiato i corridoi degli spogliatoi del centro Paradiso di Soccavo.
Lo scenario attuale non è così estremo. Ma forse, considerato il lietissimo fine del Napoli di Ottavio Bianchi, sarebbe quasi il caso di rammaricarsene.