Non una vita fa. Appena dodici mesi or sono, Kalidou Koulibaly era entrato e rientrato nella lista nera (e il sarcasmo non è contemplato) dei calciatori da dimenticare in fretta. L’ennesimo flop dirigenziale, l’ennesima svista, l’ennesimo canale di spreco di danaro, si diceva.
Possente lo era, dirompente anche. Ma anche indisciplinato come Pierino interpretato da Alvaro Vitali, rozzo e da affinare come il Pinocchio in piena fase di creazione. Gli errori tattici e le leggerezze difensive si susseguivano come i temporali a Londra.
Insomma, quando si commentavano le performance della difesa azzurra, ed in particolare le sue, il termine sulla bocca dei sei milioni di tifosi/allenatori del Napoli sparsi nel mondo era: innesti.
Era l’unica cosa che ci si auspicava. Società Calcio Napoli compresa, tanto è vero che Kalidou è stato davvero ad un passo dalla cessione.
Poi il gigante nero, sotto la sapiente guida di Maurizio Sarri ha ingranato la quinta e la sua affidabilità è cresciuta a dismisura fino a diventare uno dei pilastri della difesa azzurra.
Un pilastro stabile e potente, ma anche agile, al punto da saltellare da una richiesta all’altra, tutte dirette al suo datore di lavoro, Aurelio De Laurentiis. Dapprima bussando alle porte della società che ha simulato di non sentire il campanello, poi, notizia odierna, utilizzando lo strumento che fa più rumore di tutti, il mezzo stampa:
“Mi restano tre anni di contratto a Napoli – ha dichiarato il senegalese al quotidiano “L’Equipe” – Ero molto contento di firmare per cinque stagioni due anni fa, ma adesso, dopo due annate positive e ci sono delle offerte sul tavolo ed io voglio fare la scelta migliore per me. Dei club di alto livello mi vogliono e io dal Napoli non ho alcun segnale. La negoziazione per il rinnovo è ad un punto morto. Il club non ha mai voluto discutere con noi, quindi ho l’impressione che partirò”.
La bomba d’acqua è dunque scoppiata nel cielo di Napoli ed ha bagnato il capo di tutti i sostenitori azzurri. Più di qualche tifoso avrà pensato che “‘a capa fresca” l’avesse anche Koulibaly, e forse tutti i torti non avrebbero avuto.
Il contratto firmato dal senegalese nella sede della Filmauro nel 2014, che prevedeva un ingaggio di 900 mila euro a stagione, ha assunto la valenza di un miracolo commerciale un anno fa, quella di una misera ricompensa dopo una buona stagione sportiva.
Insomma, il valore dei contratti stipulati tra società di calcio e tesserati è incredibilmente pari a zero.
Bisogna dunque scandalizzarsi e gridare all’immoralità?
Da un punto di vista concettuale, si. Ma la vita non è fatta di concetti e teorie. L’esistenza è un miscuglio di esigenze, una miscela eterogenea di bisogni, spesso celati da una ingannevole ma bonaria complicità.
Il matrimonio tra il Napoli e Koulibaly è stato celebrato tra parti consenzienti, ma non va dimenticato che anche il Napoli ha provato a chiedere il divorzio dopo appena un anno vissuto sotto lo stesso tetto. Ed anche il Napoli, se avesse dato un seguito alle sue voglie di abbandono, lo avrebbe fatto nella consapevolezza di “cedere” anche il restante ingaggio previsto.
L’unione tra un calciatore ed una società è dunque una possibilità che ci si dona reciprocamente, nella speranza le prestazioni dell’uno e la visibilità dell’altra convergano verso il successo di entrambi.
Ordunque, non ci si deve scandalizzare se una società “scarica” un suo tesserato perchè diventato inutile alla causa. Così come non ci si deve meravigliare se un calciatore le inventa di tutti i colori per aumentare il volume del suo già lauto ingaggio. Si tratta del classico gioco delle parti, un gioco moralmente poco edificante, una manovra reciprocamente egoista, circostanziale e circostanziata. Un modus operandi che smaschera gli interpreti e ne dequalifica l’immagine romantica. Una pratica assai comune e diffusa.
E’ più ripugnante e ributtante la sincerità di Koulibaly oppure l’apparente ed immortale fedeltà alla causa azzurra dei vari Mertens, Insigne, Hysaj, comodamente nascosti alle spalle dei rispettivi e malvisti procuratori?
E’ vero, Kalidou è stato incauto. Ha sparato sul Napoli in una piazza affollata da tifosi esterrefatti. Ma quanti colpi vengono esplosi dai suoi colleghi che a differenza sua hanno soltanto l’accortezza di farlo di nascosto?
Forse è il caso di non drammatizzare ed enfatizzare quella che piaccia o meno è una scontata prassi. Molto meglio di lui ci si ricordi di un acrobatico tackle, di un clamoroso salvataggio sulla linea, della casacca zuppa di sudore, e perchè no, anche un calcio sferrato all’ipocrisia.