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Paura di volare, il bilancio del Napoli e la sfida del mercato

Prima di addentrarci nell’analisi del bilancio del Napoli e delle sue prospettive di crescita, sgombriamo subito il campo da equivoci e partiamo da una premessa: mai la SSC Napoli, nella sua novantennale storia calcistica (il club compirà 90 anni il prossimo 1 Agosto) era riuscita ad abbinare risultati sportivi ed economico/finanziari tanto positivi come nell’ultimo decennio targato Aurelio De Laurentiis.

L’imprenditore cinematografico ha mostrato una invidiabile abilità gestionale ed amministrativa, tanto che il club partenopeo sotto la sua conduzione ha raggiunto risultati più che lusinghieri nell’ottica del controllo dei conti della società, abbinando la virtuosa gestione a risultati sportivi più che dignitosi: sette partecipazioni consecutive alle competizioni continentali, di cui quattro alla Champions League (una qualificazione agli ottavi di finale Champions, una semifinale di Europa League), due Coppa Italia ed una Supercoppa di Lega .

Inutile specificare che l’analisi che ci apprestiamo a fare non si pone come fine quello di azzardare conclusioni sulle possibilità di crescita, né di fare valutazioni di merito sulla capacità di conduzione dell’attuale proprietà; si propone semplicemente di definire un orizzonte probabile di sviluppo, per capire cosa il club azzurro potrà fare nei prossimi anni  per aumentare la propria competitività in termini di fatturati e di forza commerciale.

La SSC Napoli ha chiuso l’ultimo bilancio con una perdita di € 13.074.596, mentre l’esercizio precedente si era concluso con un utile netto di € 20.217.304.

Basta partire da questi due dati per tracciare una prima evidenza: la mancata partecipazione alla Champions League 2014/15 ha avuto l’effetto di passare da un +20 ad un -13, un disavanzo di circa 33 milioni che va fatto risalire ai mancati introiti elargiti dalla massima competizione continentale ma non solo. Nel 2013/14, il conseguimento dell’utile di esercizio è stato possibile grazie soprattutto alla plusvalenza monstre derivante dalla cessione di Cavani al Paris Saint Germain (per 64 milioni di euro).

La plusvalenza ricavata dalla cessione di Cavani (€ 64.399.084 ) rappresentava da sola il 27,2 % del valore della produzione record del 2013-14 che si attestava sui 237.034.664 di euro.  Il crollo delle plusvalenze, quindi, ha certamente influito sia sul valore della produzione che sul risultato dell’esercizio, se pensiamo che le plusvalenze da cessione di diritti pluriennali di calciatori (le cessioni tout court) sono state pari a € 11.885.912  mentre nel 2013-14 erano pari a € 69.389.422 e nel 2012-13 grazie alla vendita di Lavezzi si attestavano sui 31.633.702 di euro.

Per intenderci, il valore della produzione, che appare come voce di bilancio, è uguale al fatturato incrementato delle giacenze della produzione di esercizio e diminuito del valore delle giacenze delle produzioni passate, quindi equivale ai ricavi di quell’azienda in quell’esercizio, più le giacenze.

In qualsiasi azienda tutto il bilancio si mantiene sull’equilibrio tra entrate ed uscite. Un po’ come avviene quotidianamente nelle gestione dell’economia domestica di tutti noi, insomma. Le uscite di una società sportiva sono dovute quasi interamente al costo di gestione del personale tesserato e dello staff tecnico (allenatore, collaboratori, calciatori della prima squadra e delle squadre giovanili).

Tornando al Napoli ed alla situazione dell’ultimo bilancio (2014/15) dobbiamo fare un passettino indietro. La campagna acquisti 2013/14,  quella dell’estate dell’arrivo di Rafa Benitez e della cessione di Edinson Cavani, era stata dispendiosa. Gli investimenti effettuati sul personale tesserato (leggasi monte-ingaggi) furono resi possibili solo grazie alla plusvalenza Cavani ed agli introiti Champions, ma come evidenzia un’analisi di Marco Bellinazzo su Calcio & Finanza di quella stagione, sarebbero stati difficilmente sostenibili negli anni a seguire, senza successive qualificazioni alla massima competizione europea. Il Napoli, infatti, non ha saputo abbinare alla crescita della spesa-ingaggi un incremento organico dei ricavi della gestione caratteristica, specie quelli commerciali e da sponsorizzazioni.

Bilancio Napoli 2015, le stime elaborate da C&F (20 novembre 2015)

Bilancio Napoli 2015, le stime elaborate da C&F (20 novembre 2015)

L’impennata dei ricavi dalla stagione 2012/13 a quella successiva (2013/14) è evidente: si passa da 116,43 milioni di euro a 165,46 con un fatturato in crescita del 56% a quota 237 milioni (contro i 151 del 2013). Risultati mai ottenuti prima nonostante una crescita costante del risultato netto di esercizio dal 2009/10 (0,34 di attivo) al 2012/13 (8,34 di attivo), passando per i 14,72 di attivo del 2011/12 (dove però c’era stata la cessione di Lavezzi). Proporzionalmente all’incremento dei ricavi, però, va registrato un costante aumento dei costi, in particolare sulle voci relative agli stipendi di tesserati e dipendenti (come si evince dal grafico riportato di seguito).

SSC Napoli, la curva del costo del personale (Monte Ingaggi)

SSC Napoli, la curva del costo del personale (Monte Ingaggi) (FONTE: Luca Marotta)

Sempre da un interessante articolo di Marco Bellinazzo (3 dicembre 2014 su Calcio & Business, Sole24ore) nell’analisi patrimoniale del club di De Laurentiis emerge un paradosso: il Napoli è ricco, ma non può spendere. Su quali basi Bellinazzo può affermare ciò?

Nella sua analisi si evince che i ricavi, soprattutto negli ultimi anni, hanno raggiunto livelli molto alti, avvicinando la soglia dei 240 milioni di euro. Il problema è la natura di questi ricavi, che non sono tutti strutturali, in quanto quasi il 50 % degli stessi derivano da entrate “una tantum” (110 milioni dovuti alla partecipazione alla Champions e all’Europe League).

Le entrate strutturali del club, quelli che chiamiamo introiti “standard” (diritti tv, stadio e area commerciale) valgono invece intorno ai 130 milioni.  Dai contratti televisivi sono stati ottenuti 64 milioni (cifra che crescerà ancora fino a 70 milioni con i nuovi parametri stabiliti quest’anno sulla ripartizione dei diritti tv). Dal botteghino del San Paolo nel 2014 sono arrivati invece 21,5 milioni (15,5 nel 2013) grazie al surplus delle gare europee. E nella stagione appena conclusa si sono contati 18.460.891,90 di euro di incassi totali.

Sempre nel 2014 l’area commerciale ha portato in cassa 21 milioni (contro i 22 nel 2013). In particolare, lo sponsor ufficiale Lete ha garantito risorse per 6 milioni (8 nel 2013), mentre il vecchio sponsor tecnico Macron 1,9 milioni (lo sponsor attuale Kappa garantisce ben 8 milioni di euro a stagione). I proventi da merchandising (prodotti a marchio Napoli) sono stati pari a 2,3 milioni (+0,5 rispetto alla stagione precedente e più o meno simili a quelli della stagione scorsa ancora non ufficiali) e quelli da licensing legati allo sfruttamento del brand  “Ssc Napoli” pari a 5,7 milioni.
Tra gli altri ricavi si segnalano i 2,2 milioni derivanti dallo sfruttamento dei diritti d’immagine (motivo di lunghissime discussioni per la politica del club di trattenerli per sé) che nel 2013 avevano fatto segnare entrate per appena 0,2 milioni.

La campagna acquisti svolta tra l’estate del 2013 e gennaio 2014 con l’inserimento in organico di diversi giocatori di prima fascia ha fatto esplodere, invece,  gli ammortamenti (il costo dei cartellini viene scaricato su più anni secondo un piano di quote decrescenti) del 74%, precisamente da 35 a 59,3 milioni. Questo significa che l’ammontare di ingaggi e ammortamenti, che quantifica il costo effettivo della rosa, è arrivato nel 2014 a quota 142,9 milioni (contro i 99 milioni del 2013) e rimane più o meno stabile anche nel 2015 (stagione appena conclusa).

I soli costi, dunque, per potersi permettere l’organico delle ultime due stagioni superano i ricavi strutturali del club di almeno 15 milioni. Senza considerare appunto gli ulteriori 50 milioni di spese di normale gestione per il funzionamento dell’ intera macchina organizzativa. Il dato, che è interessante ed esplicativo, spiega “oggettivamente” la prudenza con cui è stata condotta la campagna acquisti sia due estati fa che nella scorsa estate.

E questo scenario può aiutare a spiegare anche il motivo per cui De Laurentiis è sempre molto restio a “fare salti nel buio”, il cosiddetto passo più lungo della gamba, in fase di campagna di rafforzamento, nonostante il livello generale e la competitività della rosa della squadra sia costantemente in ascesa, dal ritorno nella massima serie (2006) ad oggi e con esso il valore stesso della rosa.

Valore della rosa negli ultimi 5 anni (investimenti, ammortamenti e diritti pluriennali)

Valore della rosa negli ultimi 5 anni (investimenti, ammortamenti e diritti pluriennali) (FONTE: Luca Marotta)

Negli ultimi 6 anni risultano investimenti complessivi nell’acquisto di calciatori per 301,6 milioni di euro (una smentita ufficiale dell’idea diffusa che Aurelio De Laurentiis non spenda). Tra gli acquisti effettuati nel 2014/15, per esempio, spiccano: Gabbiadini (Samp) per 12.500.000 De Guzman (Villareal) per 7.000.000; David Lopez Silva (RCD Espanyol) per 5.250.000; Valdifiori (Empoli) per 5.600.000 e Reina (Bayern) oer 2.500.000. Valdifiori e Reina risultano in organico dal giugno 2015 e perciò non sono stati ammortizzati. Tra le cessioni spiccano: Fernandez (Swansea) per 9.900.000; Dzemaili (Galatasaray) per 2.350.000 e Behrami (Amburgo) per 8.919.150. Al 30 giugno 2015 il calciatore col valore contabile residuo più elevato risulta Higuain Gonzalo Gerardo per  € 11.100.000.

Se non aumenta strutturalmente i ricavi (a prescindere dalle plusvalenze e dalla partecipazione alla Champions che non rappresentano entrate in qualche modo “certe”), il Napoli non può permettersi di “mantenere” altri campioni. Eppure  i soldi per acquistarli ci sarebbero anche perché  gli otto bilanci in utile consecutivi chiusi dalla società partenopea hanno permesso di mettere in cassa (tra riserve iscritte a bilancio e utili dell’ultimo esercizio) la cifra record per il calcio italiano di 72 milioni (erano 52 nel 2013).

La SSC Napoli è, inoltre, una delle poche società di calcio d’Europa a non aver accumulato debiti con banche o finanziatori.  Sussistono debiti operativi per 126 milioni (83 dei quali con altri club per affari di mercato) e crediti per 89,6 milioni (di cui 57,8 per il mercato). Al  30 giugno 2014 il Napoli aveva accumulato in banca una riserva di 42 milioni (erano 27 nel 2103).

Questo tesoretto ha consentito al club azzurro di poter “tenere botta” nelle due stagioni scorse dove non ci sono stati introiti per la Champions ed è sempre grazie a questo “cash flow” che dobbiamo la permanenza a Napoli di campioni come Higuain e Reina, Albiol e Callejon, Hamsik e Mertens, Insigne e Gabbiadini.

Secondo dati raccolti dall’esperto di finanza calcistica Luca Marotta, i costi della produzione della SSC Napoli, sono ormai superiori al valore della produzione, tanto che nel 2015/16 la differenza negativa netta è di 21,6 milioni (appena un anno fa era di 15 milioni).

La tendenza è, quindi, negativa e la forbice potrebbe ancora allargarsi, se il Napoli non riesce ad aumentare la parte “fissa” dei suoi ricavi (ricavi strutturali). Il valore della produzione (sempre spulciando i dati di Marotta), comprensivo delle plusvalenze, decresce da 237 milioni a 143,4 milioni (39,5 % in meno) , mentre i costi della produzione diminuiscono si, ma non in misura proporzionale, da 203,2 a 165 milioni (diminuzione del 18,8 %).

Questo significa, in soldoni, che il Napoli nel 2014/15 ha speso più di quanto abbia guadagnato, perché con l’operazione-Benitez del 2012/13 (l’unica stagione in cui ADL ha davvero osato qualcosa in più del preventivabile) ha adeguato il livello di alcuni costi al valore della produzione e non al valore del fatturato netto.

Il grafico riportato di seguito dimostra proprio questo, come nel Napoli i costi si siano adeguati all’evoluzione del valore della produzione e non a quella del fatturato netto. E va anche detto che per competere a certi livelli, è chiaro che alcuni costi, come quelli del personale, diventano “rigidi”, almeno nel breve periodo.

L'evoluzione dei ricavi e dei costi della SSC Napoli nell'ultimo decennio

L’evoluzione dei ricavi e dei costi della SSC Napoli nell’ultimo decennio

Tra il 2013/14 ed il 2014/15 che sono le due stagioni di Benitez per intenderci, il costo del personale è diminuito solo del 4,5 %, ovvero da Euro 89.159.806 a Euro 85.153.193. Il totale dei compensi corrisposti ai tesserati è pari a circa il 98 % del totale dei compensi corrisposti al personale dipendente. La voce salari e stipendi del personale tesserato è diminuita di 4.079.950, da 82 milioni circa a 78 milioni circa. Una voce saliente sono i compensi agli allenatori che sono aumentati tra un bilancio e l’altro da 8.648.057 a 9.143.588 (in questa voce rientra il salario di Rafa Benitez). E’ facilmente immaginabile che nell’ultimo bilancio (2015/16), la voce relativa a stipendi e salari sia sensibilmente diminuita, non fosse altro che per l’addio di Benitez e l’arrivo Maurizio Sarri, che ha portato ad una significativa diminuzione dei costi. L’incidenza del costo del personale sul fatturato netto, ai fini del Fair Play Finanziario, è del 67,7 %, mentre l’incidenza sul valore della produzione è del 59,4 %. Va ricordato che per rispettare le regole imposte dal Fair Play Finanziario, il monte ingaggi di una società sportiva non può superare la soglia massima del 70 % del fatturato.

Un’altra voce significativa, tra i ricavi del Napoli, è la voce relativa ai proventi dei diritti radiotelevisivi che ammontano a 77.137.624 Euro nel 2015, mentre nell’esercizio precedente (2013/14) erano pari a 104.934.840 Euro. Senza entrare troppo nella specificità dei numeri, tralasciando la ripartizione dei diritti Tv nazionali e delle competizioni UEFA, quelli per le amichevoli e degli altri proventi TV, il dato succulento che emerge è che l’incidenza dei diritti televisivi è del 53,8 % sul valore della produzione, mentre la dipendenza del fatturato netto dai diritti TV è addirittura del 62 %.

Il fatturato netto della SSC Napoli (FONTE: Luca Marotta)

Il fatturato netto della SSC Napoli (FONTE: Luca Marotta)

Poi c’è il discorso dell’equilibrio tra debiti e crediti. Va subito specificato che la SSC Napoli è uno dei pochi club calcistici che non hanno alcun debito verso istituti di credito. Nella struttura delle Passività la voce più corposa riguarda i debiti verso Enti Settore Specifico (ovvero altri club calcistici) per € 71,9 milioni (€ 83,6 milioni nel 2013/14).

I debiti verso Enti settore specifico ammontano a € 71,9 milioni (€ 83,6 milioni nel 2013/14). I debiti principali, al 30.06.2015,  riguardano: Higuain per € 17.575.000 col Real Madrid; Gabbiadini con la Sampdoria per € 9.375.000; Valdifiori con l’Empoli per € 5.600.000; Albiol col Real Madrid per € 5.200.000; Kalidou Kulibaly col Genk per € 5.092.000; De Guzman col Villareal per € 3.650.000; David Lopez Silva con l’Espanyol per € 3.325.000; Callejon col Real Madrid per € 2.900.000 e Reina col Bayern per € 2.375.000.

I crediti verso Enti Settore Specifico ammontano, invece ad Euro 39,2 milioni (2014/15, mentre erano 57,8 milioni nel 2013/14). Il credito maggiore riguarda Cavani (PSG) per 22.575.000 e Fernandez (Swansea) per 5.500.00 (FONTE: Luca Marotta).

Questo scenario, unitamente all’analisi dei costi e dei ricavi strutturali, affrontato più sopra, dovrebbe rendere l’idea dei vincoli che impongono al Napoli un’attenta ed oculata gestione delle spese, un controllo rigido dell’equilibrio di bilancio che si traduce su talune scelte o strategie societarie, che potranno risultare condivisibili o meno, ma che rispondono semplicemente al ferreo rigore dei numeri.

Qual è, in conclusione, la strada che possa consentire al Napoli di accrescere i propri ricavi per far lievitare il fatturato netto e, di conseguenza, la capacità di spesa del club (che poi si traduce quasi sempre in competitività)?

Va detto a chiare lettere che non c’è club di calcio al mondo che possa programmare una vittoria sicura. Sono troppe le variabili in gioco quando si parla di competizioni sportive e risulterebbe esercizio arduo sostenere che le vittorie siano figlie di una programmazione certa. Se le vittorie non si programmano, è altrettanto vero che si può pianificare il livello di competitività di un club, ovvero le sue possibilità di vittoria. E per aumentare la competitività di una società di calcio, occorre incrementare il fatturato. Gira e rigira siamo sempre lì: investimenti strutturali.

Il Napoli dovrebbe aumentare le voci dei ricavi “fissi”, investendo nelle strutture del club, dotandosi di una “casa” di proprietà, un centro sportivo polifunzionale che possa rappresentare anche una fonte di introiti e dove far crescere il settore giovanile. Altro passaggio fondamentale è lo stadio del club, un polo di attrazione per i clienti (tifosi) e gli investitori (brand e sponsor), quindi in grado di costituire una fonte di guadagno sicura e sempre crescente negli anni. Siamo nell’ordine dei famosi ricavi strutturali, quelli che diventano fissi e quindi sicuri (per approfondire il tema dell’incidenza dello stadio di proprietà sui conti del club CLICCA QUI).

E poi c’è tutto il discorso che attiene allo sviluppo del marketing, legato al licensing ed al valore delle royalties, su cui il club potrebbe intraprendere nel prossimo futuro un discorso di respiro più internazionale, legandosi a partner pubblicitari che non abbiano solo riscontro sul territorio napoletano e nazionale (Lete, Kimbo, Garofalo), ma che siano brand riconosciuti nel panorama economico globale. Parliamo anche dello sponsor tecnico, anche se per la verità con Kappa si è già saliti di livello per volume d’affari e rete di vendita.

Svincolare il club dalle mere fortune sportive della squadra rappresenterebbe il viatico più importante per stabilire il Napoli nel gotha dei maggiori club d’Europa. Ma siamo certi che il club azzurro stia pensando ad una soluzione del genere, magari lavorando di concerto con l’amministrazione comunale che dovrà fare necessariamente la sua parte in tal senso. Resta da capire quanto la tifoseria partenopea sia pronta a “sacrificare” i risultati sportivi della squadra, in cambio della realizzazione di strutture fondamentali per le ambizioni del club. La Juventus prima dello Stadium ha galleggiato e vivacchiato (anche se per poco) tra campionati deludenti e fallimenti tecnici. E stiamo parlando pur sempre di uno dei club con le proprietà più ricche e capaci. E’ arrivato il momento che anche gli appassionati tifosi azzurri capiscano il ruolo cruciale delle strutture per un club di calcio come il Napoli, dalle potenzialità pressoché sconosciute nella loro grandezza. E magari accolgano con lo stesso entusiasmo dell’acquisto di un campione,  la prospettiva di uno stadio di proprietà che sia fonte di ricchezza e di finanziamento per un futuro roseo e di crescita.

 

 

 

 

 

 

 

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Francesco Romano è laureato ed ha un master in comunicazione e marketing. Ama scrivere, lavora presso Mediaset.
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