Nella premessa (clicca qui) abbiamo visto quanto il fenomeno delle proprietà straniere nel calcio sia vasto, variegato e in continua espansione. Da qualsiasi lato lo si voglia guardare, una considerazione appare oggettiva: il volume d’affari globale del business calcistico è in netta ascesa. In uno degli ultimi studi che la società di consulenza Deloitte ha dedicato al pallone è emerso che, solo negli ultimi cinque anni, i ricavi del mercato calcistico europeo sono cresciuti costantemente al tasso del 7%: il traguardo dei 30 miliardi di dollari è raggiungibile entro il 2017. Ciò è merito, sostiene ancora Deloitte, della nuova linfa economica e di know how portata dagli assetti manageriali stranieri. A breve sono previste nuove acquisizioni e non si fa fatica a pensare ad un vero e proprio circolo virtuoso basato sul paradigma calcio-spettacolo-affari.
Dietro le società di calcio, quindi, ci sono sempre di più le grandi aziende. Ma di quali aziende parliamo? Senza voler fare l’elenco analitico di tutti i magnati che affollano gli stadi di mezza Europa e degli affari che gestiscono, possiamo raggruppare le proprietà straniere nel calcio moderno in due macro-categorie: le multinazionali e i fondi sovrani. In un certo senso, le due tipologie societarie operano allo stesso modo, nel senso che il loro obiettivo è la massimizzazione del valore (più che dell’utile) della società di calcio, un concetto che passa gioco forza dall’espansione commerciale e dall’esportazione del marchio della società in questione. Sul piano operativo, diversamente, la gestione delle due realtà avviene con modalità diverse.
La parola “multinazionale” racchiude in sé molteplici significati. Si pensi, ad esempio, a Coca Cola, Disney e Google: sono aziende conosciute in tutto il mondo, i cui fondatori hanno reso universali concetti semplici, come una bevanda, un disegno e la schermata di un computer. Il calcio ha in sé gli stessi elementi, cioè semplicità ed universalità, che lo hanno reso uno degli sport più seguiti al mondo. A monte, prima ancora che le multinazionali acquistassero singole società di calcio, esistevano già accordi di sponsorizzazione con le federazioni nazionali: il colosso bancario Barclays dà il nome alla Premier inglese, i loro colleghi di BBVA alla Liga Spagnola e, in Italia, la Tim è main sponsor della Serie A.
Scendendo di livello, le multinazionali hanno iniziato ad investire nel calcio per occupare un ulteriore settore del commercio di massa. E’ questa, ad oggi, l’unica tipologia di imprenditore straniero presente in Italia. Accanto ad illustri esempi locali, come il Gruppo FCA di cui fa parte la Juventus, si sono affiancati e presto si affiancheranno nuovi proprietari provenienti da altri paesi, in questo caso addirittura da altri continenti.
Il primo ad acquistare una società italiana di alto livello è stato l’italoamericano James Pallotta, che nel 2011, insieme ad altri imprenditori, ha rilevato la Roma. Pallotta proviene dal mondo della finanza, ha fatto carriera negli Stati Uniti tra banche e hedge funds. Non ci si aspetta da lui che capisca di tattica o che conosca i calciatori, ma prima della società giallorossa aveva comprato la gloriosa franchigia NBA dei Boston Celtics, sull’orlo del fallimento, riportandola ai vertici con il titolo vinto nel 2008. Discorso simile, ma riferito ad un’industria casearia, si può fare per Joey Saputo (già presidente della società di calcio dei Montreal Impact), anch’egli italoamericano, che ha fiutato l’affare acquistando il Bologna, a quel tempo retrocesso in Serie B e ad un passo dal fallimento.
Spostandosi ancora più a nord, le due milanesi stanno vivendo, ognuna a modo suo, fasi diverse della loro storia. Sulla sponda rossonera regna il caos. Si potrebbe scrivere un libro solo sull’ultimo anno di vicissitudini societarie, dal misterioso Mister Bee agli altrettanto misteriosi cinesi, che pare siano interessati all’acquisto della società di Berlusconi. Per il momento, vista la riservatezza della trattativa e la delicata operazione al cuore cui si è appena sottoposto l’ex Cavaliere, tutto tace. L’Inter, al contrario, sembrava aver trovato in Erick Thohir e nel suo gruppo la panacea di tutti i mali. L’imprenditore indonesiano è a capo di una holding che investe in svariati settori, dai media all’automotive, passando ovviamente per il calcio: è di sua proprietà il DC United, la squadra più titolata della MLS statunitense. In questi giorni, tuttavia, un’operazione presentata come semplice sponsorizzazione si è trasformata nella vera e propria cessione della società: quasi il 70% delle azioni del club nerazzurro sono passate nelle mani del colosso cinese Suning, leader in estremo oriente nel settore della vendita di elettrodomestici.
Di esempi del genere, in Europa, ce ne sono svariati, soprattutto in Inghilterra, paese che, secondo lo stesso studio di Deloitte citato in precedenza, è la vera locomotiva del processo di trasformazione del prodotto calcio. L’esempio più noto è Roman Abramovich, presidente del Chelsea e azionista di riferimento della petrolifera Gazprom e della compagnia aerea Aeroflot, ma l’elenco è lungo ed arriva anche alle serie minori. Ciò che non si è ancora visto in Italia, almeno nel calcio, ma che in Inghilterra rappresenta una realtà consolidata da anni, sono i fondi sovrani. Anche in questo caso abbiamo un esempio illustre, vale a dire lo Sceicco Mansour bin Zayd Al Nahyan, rappresentante del fondo sovrano di Abu Dhabi, che detiene l’intero pacchetto azionario del Manchester City.
I fondi sovrani sono speciali veicoli d’investimento pubblici, che appartengono ai governi dei paesi in cui risiedono e che vengono utilizzati per operazioni di finanza strutturata, la più diffusa delle quali è denominata leveraged buyout. Nella pratica, viene creata una società veicolo, detta newco, il cui unico scopo è l’acquisto della società individuata, detta target. All’interno della newco confluiscono i capitali degli investitori interessati e i debiti con le banche finanziatrici. Ciò rende più snella la gestione della target, soprattutto sul piano finanziario, in quanto spesso si tratta di società in crisi profonda, la cui esposizione debitoria è ovviamente rilevata dalla newco.
Non a caso, i fondi sovrani sono residenti in talune aree geografiche molto ben definite. Parliamo di paesi esportatori di petrolio, come il Qatar e gli Emirati Arabi, oppure di nazioni notoriamente molto ricche, come appunto Abu Dhabi, Dubai, Singapore e, più di recente, la Cina. Tutto nasce da ingenti surplus di natura economica (titoli di stato), finanziaria (liquidità) o fiscale (proventi derivanti da un livello di tassazione molto basso), che consentono ai rispettivi governi di investire in attività all’estero. Ecco che, attraverso i fondi sovrani, il governo di un dato paese diventa un vero e proprio portatore di interessi nei diversi settori economici, tra cui il calcio.
La sostanziale differenza tra le multinazionali e i fondi sovrani risiede nel fatto che, mentre le prime sono specializzate nella produzione di beni o fornitura di servizi, i secondi non presentano particolari capacità imprenditoriali, ma grazie alle enormi riserve di capitali investono in settori economici potenzialmente profittevoli. Si può affermare che il calcio, a livello temporale, è solo l’ultimo degli obiettivi dei fondi sovrani, i quali in tempi più remoti hanno investito pesantemente, oltre che nei derivati del petrolio, nel settore edilizio, in quello bancario e nei marchi di lusso: il fondo di Dubai, ad esempio, detiene una partecipazione del 5% nella Ferrari.
Ma non è tutto oro ciò che luccica. A fronte dell’indiscutibile progresso che sta vivendo il movimento calcistico europeo, ci sono da registrare forti preoccupazioni, di diverso ordine e grado. Più volte è stato sollevato il tema etico intorno alle multinazionali, le quali da un lato promuovono immagini positive del calcio (basti solo pensare ai bellissimi spot pubblicitari della Nike), dall’altro sono oggetto di controversie per le disumane condizioni in cui lavorano gli operai in fabbriche localizzate spesso nei territori più poveri al mondo. Nondimeno, a seguito della grande crisi finanziaria su scala mondiale, molti analisti hanno imputato più di una responsabilità ai fondi sovrani, che nel settore finanziario sono ormai quasi egemoni. Tuttavia, i recenti orientamenti dell’Unione Europea in materia di libera circolazione di capitali, impongono ai singoli governi nazionali di evitare l’adozione di misure protezionistiche. Un chiaro segno che la rivoluzione, anche nel calcio, andrà avanti e sarà inarrestabile.
Continua (è possibile leggere qui la prima puntata)
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