Il Napoli targato De Laurentiis è una creatura che cresce a dismisura, si arricchisce di anno in anno di valori tecnici ed aumenta di continuo anche il valore economico della rosa. Ma il Napoli è un caso atipico nel panorama nazionale ed internazionale, perché pur essendo un club virtuoso, con una società dalle finanze sane ed una squadra ormai stabilmente nel novero delle big del calcio italiano, gioca in uno stadio, il San Paolo, che affiora dall’asfalto come un gigante di ferro e cemento dalla struttura fatiscente, una cattedrale nel deserto esteticamente brutta e cadente, con lacune strutturali evidenti.
Il San Paolo è un impianto semplicemente inadeguato: costruito nel 1959 è il terzo stadio più capiente d’Italia, tra i primi quindici d’Europa e tra i trenta stadi più capienti del mondo, almeno prima della chiusura del terzo anello e della conseguente riduzione della propria capacità. Progettato dall’architetto Carlo Cocchia è stato deturpato dagli interventi massicci ed al contempo dannosi di Italia ’90. Tubi di acciaio si sovrappongono ad un’architettura essenziale in travertino e calcestruzzo che doveva essere salvaguardata per vincolo con altre strutture similari e contemporanee del quartiere quali l’Arena Flegrea, la fontana dell’Esedra, gli edifici della Mostra d’Oltremare e la facoltà di Ingegneria.
L’estetica è l’ultimo reale problema del San Paolo che versa, ormai, in condizioni pietose: i servizi igienici sono praticamente inesistenti, i seggiolini malridotti, la copertura in acciaio ha mostrato gravi problemi di sicurezza ed i locali adibiti a parcheggi sono chiusi e restano inutilizzati. Se pensiamo che per costruire quei parcheggi nel ventre dell’impianto si è strozzata e guastata l’Arena Sant’Antonio, un condotto di costruzione borbonica che aveva sino ad allora assicurato il deflusso delle acque piovane dalla collina dei Camaldoli fino a Coroglio, passando per Soccavo e Fuorigrotta, lo scenario è completo. E’ questo è anche il motivo per il quale, dalla realizzazione di quei lavori, ogni qualvolta si riversa su Napoli una pioggia più intensa, spogliatoi e sotterranei dello stadio si allagano.
La querelle sull’inadeguatezza del San Paolo per gli standard moderni degli stadi europei e per un club che ormai si è stanziato tra le prime 20 realtà calcistiche del continente, dura da sempre e continuerà ancora per molto, a giudicare dalla guerra di frecciatine inaugurata lo scorso anno tra il presidente De Laurentiis ed il Comune di Napoli. Un ginepraio di chiacchiere da cui sarà difficile emergere se non si metteranno da parte vecchi livori tra le parti e se non si supererà questa fase paludosa fatta soltanto di promesse, falsi progetti ed utopie presidenziali.
“Il San Paolo è un cesso” tuonò il presidente De Laurentiis appena un anno fa e c’è assolutamente da credergli e da esser d’accordo se solo diamo una sbirciatina agli stadi di Arsenal, Ajax, Bayern, ma anche di Besiktas (e parliamo di Istanbul non di Oslo), Benfica e persino dell’Udinese, non volendo uscire per forza fuori dai confini nazionali. Le ultime dichiarazioni del proprietario del Napoli, “Non metterò mai più piede al San Paolo, si vede male”, fanno il paio con quelle di un anno fa e vanno assolutamente ascritte all’alveo delle esternazioni “politiche” del numero azzurro, volte a smuovere le acque melmose in cui è stata risucchiata la vicenda San Paolo.
Il Comune di Napoli, da par suo, sta procedendo con lentezza elefantiaca nell’iter, di per sé farraginoso, dello sblocco dei 25 milioni concessi dal Credito Sportivo per i lavori più urgenti, ma ai propositi sbandierati a fine primavera scorsa, sull’inizio dei lavori per l’estate, è poi seguito il nulla assoluto. A chi giova questa situazione? Ovviamente a nessuno. Né al Napoli, che si trova a dover ospitare, da anni, in un impianto vetusto e malfunzionante, in locali ammuffiti e malmessi, i club di Champions League; né al Comune, a cui il San Paolo costa tanti soldi senza generare alcun profitto, né ai tifosi che sono costretti a vivere il momento irripetibile della partita in un impianto ormai ridotto male, scomodo e giammai accogliente.
E allora cosa fare? Bisognerebbe intanto trovare un punto di comune accordo tra le tre parti in causa: proprietà, istituzioni e tifosi. E sarebbe il caso che il presidente cessi di perseguire la scellerata politica di rincaro dei prezzi dei settori popolari, cercando una riappacificazione con i tifosi, quegli stessi tifosi che ormai sembrano preoccuparsi più di insultare il presidente che di supportare e sostenere la squadra in campo. Tra due fazioni in guerra sotto lo stesso cielo, prima o poi, deve scoppiare la tregua, perché indebolirsi dal proprio interno diventa esercizio masochista e pericoloso.
Le istituzioni devono fare la propria parte, anche nella querelle tra presidente e tifo. Forti di un indirizzo presente nella convenzione-ponte (che peraltro è scaduta e andrebbe rinnovata), in cui si parla proprio della stabilizzazione del prezzo medio per i settori popolari, che poi sono le curve, intorno ad una cifra vicina ai 20 euro, il sindaco e la giunta dovrebbero vestirsi da garanti dei tifosi ed addivenire ad un accordo con una società ormai scollata dal territorio, per scelta deliberatamente presa e portata avanti dal management del club. Questo va fatto nel più breve tempo possibile e nell’interesse della sterminata comunità di appassionati, ma anche di chi in campo, la domenica e in allenamento, sta profondendo energie ed impegno per portare avanti un progetto tecnico dai contenuti importanti.
Sarebbe il caso di unire le forze, fare squadra e gruppo così come Sarri e i ragazzi stanno facendo in campo, offrendo peraltro un meraviglioso esempio, come se debba essere l’allenatore con i giocatori a tracciare la via per ricompattare l’ambiente, per riunire in un circolo virtuoso città, società e tifo. Ed un attimo dopo, il presidente con le istituzioni dovranno ritrovarsi, su di un tavolo comune, per una cooperazione seria, fattiva, positiva al fine di mettere in cantiere un progetto credibile, politicamente e finanziariamente, e regalare a Napoli ed ai napoletani lo stadio che meritano.
Il San Paolo non può essere il “ring” su cui sfidarsi, così come stanno facendo il presidente del Napoli ed i tifosi delle Curve, così come la querelle con il comune non può diventare strumento di tortura per il tifo popolare, che da sempre è al fianco del Napoli, in salute ed in malattia. Il tafazzismo di De Laurentiis non è più accettabile, così come il masochismo e l’autolesionismo inscenato da una parte della tifoseria nonha più ragion d’essere, per il bene di tutti. Per il bene del Napoli.