Sul finire del mese di settembre la lotta per il vertice si infiamma. Complici il mezzo passo falso dell’Inter in casa contro il Bologna, il crollo della Roma a Torino per mano dei granata e il reciproco annullamento di Fiorentina e Milan, i numeri parlano già di Juve e Napoli in fuga sul resto del gruppo. Ricomincia il duello, quindi, un testa a testa che può durare fino alla fine o terminare presto a vantaggio di una delle due, più probabilmente i bianconeri vista la storia recente. Oppure prevedere il rientro di un terzo incomodo.
I grandi duelli tra squadre di calcio richiamano sempre alla mente quelli ciclistici, offrendo la metafora dei due contendenti con caratteristiche diverse che si sfidano in una lunga corsa a tappe. Come si comporterà lo scalatore a cronometro? E il velocista sulle prime salite? Chi riuscirà a mantenere una buona condizione fisica nei momenti decisivi? Sono tutti interrogativi che affollano la mente degli appassionati del pedale, pensieri traslati se il discorso si sposta sul pallone.
Molti addetti ai lavori hanno sottolineato l’inizio di campionato non proprio da schiacciasassi della Juve. Certo, è prima in classifica e se indovina la partita sommerge di gol il malcapitato avversario (chiedere al Sassuolo). Però sono dati di fatto la sconfitta patita con l’Inter, il pareggio senza reti in casa contro il Siviglia all’esordio in Champions e la vittoria non proprio agile sul campo del Palermo. A tutto ciò si aggiungano i soliti problemi fisici che affliggono la squadra di Allegri: gli infortuni di Asamoah e Rugani, che non ci saranno nello scontro diretto di ottobre, e le condizioni non brillanti di altri pilastri difensivi come Benatia e Chiellini hanno indotto la critica sportiva ad incitare il Napoli ad approfittare di questa fase, onde trovarsi in momenti più decisivi in vantaggio o comunque con buone possibilità di giocarsela fino alla fine.
Sarri e il Napoli dimostrano di non ascoltare queste voci, e fanno bene. Vedendo gli azzurri giocare, tornando al parallelo ciclistico, si nota palesemente l’andatura di chi sale col suo passo. Lento? Svelto? E’ presto per dirlo, ma una considerazione è pacifica: il Napoli gioca come sa, come gli ha insegnato Maurizio Sarri. Poco importa se stecca la prima, se a Genova non vince o se deve pagare l’emozione, comunque vincente, dell’esordio in Champions. Le singole partite non pregiudicano una stagione, stravolgere il proprio credo tattico e mentale invece può costar caro.
La partita contro il Chievo, in tal senso, fornisce spunti di riflessione molto interessanti. Risultato a parte, netto e indiscutibile, è utile ricordare che la squadra era reduce da un turno infrasettimanale in trasferta, a Marassi contro il Genoa, non proprio una passeggiata di salute. Trasferta che si era conclusa con le polemiche riguardanti i due rigori non concessi agli azzurri (sul nostro giornale abbiamo anche argomentato perché Damato ha applicato il regolamento in modo corretto e non corretto): eppure la squadra si è dimostrata tranquilla nell’intero arco della partita. Quella tranquillità di chi sa cosa deve fare, finendo poi per farlo bene. Alla fine il risultato è arrivato, ma per chi applica un metodo ciò rappresenta la normalità, non certo un’impresa titanica.
Nondimeno, la vigilia è di quelle importanti. Era troppo facile pensare già al Benfica, respirando l’aria prestigiosa dell’Europa dei grandi con quella musichetta nelle orecchie. Era troppo facile immaginare quella sfida in un San Paolo semi vuoto perché dall’altra parte del campo c’era “solo” il Chievo, segno evidente che anche i tifosi hanno la mente protesa al mercoledì di Champions. Ed invece no: “prima c’è il Chievo, dopo il Benfica”, avrà ripetuto milioni di volte Sarri ai suoi.
E i suoi non solo lo hanno ascoltato, ma hanno eseguito il compito nel modo più semplice possibile: partita chiusa nel primo tempo, punteggio mai in discussione e pochi pericoli corsi da Reina. In questo contesto, la riscoperta di Gabbiadini, la conferma della bontà di acquisti come Zielinski e Milik e la consacrazione definitiva di Hamsik come leader dello spogliatoio sembrano quasi dettagli di contorno. Se la perfezione non esiste, la macchina costruita da Sarri sta lavorando seriamente per andarci vicino.
Pur essendo una macchina, una serie precisa di meccanismi che si incastrano durante la settimana e nei novanta minuti di gioco, la componente umana che la governa è fondamentale. Verso la fine del campionato scorso, Sarri lamentò l’eccessiva leggerezza di alcuni suoi uomini, ricordando loro pubblicamente “ma vi rendete conto che giocate per il secondo posto? O pensate di essere in gita scolastica?”. Oggi non è più così, quello spirito è svanito e la spensieratezza di quella squadra, pur bella esteticamente, sta facendo lentamente posto alla concretezza tipica dei grandi.
La controprova è nei numeri. Il Napoli di quest’anno ha percentuali di possesso palla più basse rispetto alla stagione passata, gioca con gli esterni offensivi più vicini alla prima punta e rispetto al campionato scorso porta attacchi da entrambi i lati. Effettua anche un numero minore di passaggi, pur mantenendo numeri altissimi. Messo insieme, tutto ciò significa che la squadra gioca un calcio più “verticale”, fronte alla porta, poca gestione e più sostanza.
I risultati sono evidenti: nel confronto tra le prime sei partite di questo campionato e di quello 2015/16 il Napoli ha fatto più punti, 14 contro 9, ha segnato due gol in più e ne ha subiti due in meno. E pensare che c’è una Champions in più e un Higuaìn in meno. A proposito del Pipita, dopo sei partite l’anno scorso era a quota 5 gol, esattamente quanti ne ha fatti Callejon (non proprio un centravanti) in questo primo scorcio.
Il percorso è ancora lungo e le tappe da coprire tantissime, ma il traguardo è lì che attende placidamente di essere varcato. Fino a quel momento la squadra sa di dover pedalare come sa, senza frenesia, con la consapevolezza di avere i mezzi per arrivare fino in fondo. La consapevolezza è un prodotto della mente, così come la vittoria.