Il calo spettatori degli stadi italiani è ormai un dato inequivocabile, supportato anche dai numeri che testimoniano il progressivo disamore dei tifosi di calcio, o almeno il cambiamento del modo di vivere l’evento della partita.
L’inizio di campionato ha fatto registrare una perdita dell’8% rispetto all’affluenza media dei primi due turni nelle ultime dieci stagioni: anche la percentuale di riempimento degli stadi nei primi due turni della Serie A 2016-2017 ha toccato il livello più basso dal 2006.
Gli spettatori che in questo esordio di campionato hanno seguito la propria squadra allo stadio sono stati 426.388, l’affluenza più bassa mai registrata nei primi due turni degli ultimi dieci anni, in flessione del 5% rispetto alla scorsa stagione, quando i tifosi sugli spalti erano 446.782, e del 9% rispetto al campionato 2014-2015 (con 466.640 spettatori). Quest’ultimo dato percentuale è analogo a quello della stagione 2007-2008. Il divario si fa ancora più pronunciato guardando alle annate 2008-2009 (-12%), 2009-2010 (-17%) e 2010-2011 (-11%).
I dati sono indicativi, nella stagione 1994-95 ogni gara ha raccolto in media 29.154 spettatori (paganti + abbonati), nel 2013 il dato era di 23.011, mentre nelle prime 14 giornate del 2014 è sceso ulteriormente a 22.289. In due decenni, dagli spalti sono sparite 6/7 mila persone per gara: l’equivalente di un piccolo paese.
Restringendo il focus sul Napoli, il dato è ancora più clamoroso, se si pensa che parliamo, ormai a buon diritto, del secondo club d’Italia, in questa particolare epoca storica, l’unica squadra in grado di provare a contrastare lo strapotere bianconero. Il Napoli ha iniziato il campionato come aveva finito quello scorso, al secondo posto, peraltro con un distacco minimo dal primo e con una serie già lunga di episodi arbitrali a sfavore, che rendono questo piazzamento perfino striminzito.
Nella passata stagione, la squadra di Sarri fu in grado di coinvolgere il tifo e riportarlo gradualmente al suo fianco dopo una partenza a rilento, dovuta in parte all’addio di Benitez ed anche ad un mercato che ne è seguito non giudicato all’altezza (per fortuna solo sulla carta).
Il gioco e i risultati, poi, hanno preso il sopravvento su ogni altra considerazione ed alla fine del campionato si è registrata una media spettatori ragguardevole: gli azzurri al San Paolo totalizzano una media presenze pari a 37.777 , al terzo posto del podio nazionale dopo Inter e Juventus.
Quest’anno, dopo la clamorosa cessione di Higuain all’odiata rivale Juve ed un mercato condotto con sofferenza (ma che alla fine è stato giudicato il migliore da molti addetti ai lavori) la novità del rincaro dei prezzi delle Curve imposta da De Laurentiis in queste prime gare ha determinato un calo di affluenza ed un malcontento notevoli.
Il Napoli ha contato 27.231 spettatori nella prima casalinga col Milan, 22.533 col Bologna, 19.942 nell’ultima col Chievo. La media è di 23.240 spettatori nelle prime tre al San Paolo, mentre lo scorso anno eravamo sui 29.300 dopo le prime tre casalinghe (ma tra queste c’era Napoli-Juventus).
Il caso eclatante riguarda l’esordio stagionale al San Paolo in Champions League, che porta a Napoli un avversario dal blasone e fascino conclamati, il Benfica Lisbona. In altri tempi sarebbe stata una gara da sold-out, nonostante il costo del biglietto sia elevato, invece nel catino di Fuorigrotta si registreranno ampi spazi vuoti (circa 40.000 i tagliandi piazzati in prevendita).
E’ evidente che rispetto alla situazione di un ventennio fa, il calcio italiano ha perso tantissimi appassionati, almeno sulle gradinate degli stadi. E questo dato appare ancor più evidente se si considera la situazione di Napoli, da sempre piazza calorosa e dedita al “fanatismo” calcistico, passateci questo termine ardito. Perché?
Non esiste certamente un solo fattore, si tratta di un concorso di elementi che combinati tra loro hanno determinato l’allontanamento del tifo napoletano dalla casa madre, il San Paolo. E’ sin troppo facile tirare in ballo la gestione del presidente De Laurentiis, oggetto di dialettiche continue nell’agorà virtuale, con le conseguenti contestazioni alla conduzione societaria della SSC Napoli. E’ sicuramente un fattore, di certo non l’unico e forse nemmeno il più importante. I risultati calcistici del Napoli, del resto, parlano chiaro: siamo di fronte all’unica società “vincente” dopo la Juve dell’intero panorama nazionale, sempre ai vertici del campionato e con tre titoli portati in bacheca negli ultimi anni.
Forse il problema è molto più radicato e strutturale, forse il napoletano (ma l’italiano in generale) si sta finalmente domandando se sia il caso di seguire la partita in un impianto non adeguato, poco funzionale, senza alcun tipo di servizio e pure non sicuro. Forse il tifoso è stanco di rischiare di trovarsi in situazioni poco consone ad un evento sportivo e non ha neppure voglia di avvicinarsi al caotico marchingegno della “tessera del tifoso” (chi vi scrive l’ha richiesta ben 3 anni fa, ma non è mai arrivata).
E’ anche evidente che il tifoso italiano guarda le partite degli altri campionati, studia gli stadi europei e, in un’epoca come questa, dove è facile prendere un aereo ed andare a Londra a guardare Chelsea-Liverpool o Arsenal-Manchester United, è portato a fare un raffronto tra due realtà, quella nostrana e quella inglese, lontane anni luce.
Come spesso accade la risposta è di natura politica, normativa ed anche economica. Un conto è spendere 40 euro per andare a consumare l’evento agonistico sulle gradinate di un impianto moderno, funzionale, accogliente, ricco di servizi di cui poter usufruire; altro è farlo per andare a prendersi umidità, pioggia, disagi, mal di schiena e non poter nemmeno usare i servizi igienici.
Napoli, ma l’Italia tutta in questo caso, si trova davanti ad un bivio, ad una svolta epocale: scegliere se lasciarsi andare verso la periferia dell’Europa (leggasi Grecia, Portogallo e Turchia) dove tranne in rare eccezioni si registra la stessa fatiscenza delle strutture e le stesse carenze, oppure lanciare finalmente un ponte verso l’Europa, raggiungere la Germania, l’Inghilterra, la Spagna, l’Olanda ma anche i paesi dell Est che si sono pian piano adeguati all’andazzo generale. Il calcio italiano ha bisogno di risposte serie, credibili, di un progetto politico e di un quadro normativo finalmente all’altezza. Il sistema calcio è ormai da tempo un vero e proprio settore dell’economia, con aziende che vanno tutelate ed invogliate ad investire.
E’ arrivato il momento che si faccia quadrato a livello istituzionale ed imprenditoriale, tutti a remare nelle stessa direzione per un comune obiettivo: regalare strutture ed impianti di livello ad un pubblico che esige uno spettacolo di livello. La svolta non è solo politica, ma culturale. La realizzazione di nuovi impianti, magari di 40.000-45.000 spettatori, porterà inevitabilmente ad una politica di prezzi più alti, con un rincaro che sarà, allora si, strutturale ed anche motivato dall’offerta di un pacchetto di servizi e benefit per il tifoso-utente.
L’Italia deve allenarsi a guardare al Calcio come ad uno Sport, non come ad un universo a sé. In tutti gli altri paesi del mondo il Calcio è considerato come un qualsiasi sport, con le sue regole, il suo quadro normativo, la sua economia e così dovrà essere anche qui. I valori, i simboli, i sentimenti del calcio che fu, quello che piace a noi, quello che ha rapito milioni di appassionati, purtroppo non ci sono più e quel che ne rimane è pura eccezione.
Le bandiere che sventolavano imperiose un ventennio fa si stanno malinconicamente ammainando, le logiche sono più natura economico-finanziaria che legata ad aspetti sociali o alla sfera emozionale. Il calcio va di pari passo col mondo, sta cambiando col mondo. Il primo salto in avanti da fare è culturale, capire bene cosa abbiamo avanti, a cosa andiamo incontro ed a come veicolarlo per fruirne nella maniera più giusta. Ne saremo capaci?
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