Napoli, 11 Ottobre 2036 – E’ stata una giornata convulsa a Napoli, quella di ieri, con la grande manifestazione culminata col discorso in Piazza del Plebiscito del vecchio presidente Aurelio De Laurentiis, a margine di un corteo che ha portato poco più di un centinaio di persone per le vie del capoluogo partenopeo. Presenti anche le televisioni che hanno documentato la manifestazione ed il discorso presidenziale alla fine della stessa.
Motivo della protesta della SSC Napoli sono i tifosi che non sanno più sostenere e non vogliono più spendere il loro denaro per la propria squadra del cuore.
Il presidente azzurro col megafono e dietro di lui Chiavelli, Formisano, il direttore sportivo, poi lo staff medico, lo staff tecnico, la prima squadra e tutte le rose delle giovanili, in tenuta ufficiale, a sfilare per Corso Umberto tra cartelli e striscioni di protesta contro un tifo assente, colpevole di aver scelto come un diktat la strada della critica a profusione e di non dare più alcun contributo concreto alla causa: né abbonamenti, né acquisti di materiale ufficiale, niente più pienoni in quello che in passato fu ribattezzato il Maracanà italiano e nemmeno più abbonamenti alle Pay Tv con conseguente raffreddamento dell’interesse e dell’attenzione dei colossi televisivi nei confronti del Napoli.
Il Napoli ha contestato Napoli, lo ha fatto nel modo più eclatante, in quella che rischia di diventare una pietra miliare di un nuovo modo di intendere il football nel panorama calcistico di questo paese e non solo. Siamo di fronte ad una svolta epocale, ad una rivoluzione culturale del modo di intendere il calcio, come strumento sociale oltre che realtà economico-politica del tessuto di una città. E’ la prima volta che un club di calcio contesta i propri tifosi e lo fa con la forza propellente della protesta civile, democratica, del dissenso pacifico. E’ il ribaltamento della prassi in essere da sempre: il tifoso contesta, la società spende, compra, semmai perde, ma tace.
Il Napoli ha detto “no” a tutto questo. Ed ha sfilato per le strade di una Napoli che non è più mamma, che ha abbracciato la filosofia della pretesa, del “ricevere senza dare”, del “dover vincere” senza esporsi più di tanto. Il Napoli ha protestato contro il tifo imborghesito e drogato nel palato dalle opinioni che sgorgano a fiotti dai salotti televisivi, come verità inconfutabili che prendono proditoriamente i connotati dell’ αλήϑεια (la “verità assoluta” dei greci).
Sull’altare dell’inquisizione c’è quella Napoli di cui la SSC Napoli non ha più alcun bisogno e lo urla a gran voce con la forza dei risultati e dei numeri: “Meritiamo di più”, “Via da Napoli”, “Tifosi criticoni fuori dai cog…” ed altri ancora i coloriti messaggi in bella mostra sui vessilli che spuntano aldilà delle teste di quel fiume umano che attraversa il rettilineo, da Piazza Garibaldi fino a Piazza Municipio, che danno voce alla protesta di un Napoli che non ne può più di Napoli.
E’ un paradosso spazio-temporale questa Napoli che non sa più amare la sua squadra di calcio, da ormai un ventennio o poco più. Tutto iniziò più o meno allora, quattro lustri fa e poi la situazione è andata sempre peggiorando, fino all’appello di ieri dell’ormai ottantesettenne Aurelio De Laurentiis. Quella Napoli che criticò la cessione di Cavani e l’acquisto di uno scarto del Real Madrid, quel Gonzalo Higuain tanto compianto, appena tre anni dopo, dopo la maxi-cessione ai rivali di sempre della Juve.
La stessa Napoli che lanciò i “De profundiis” dopo l’addio di Walter Mazzarri, l’uomo del dito fisso sul cronometro che aveva regalato la Champions dopo anni di anonimato ma che aveva rifiutato Verratti; quella Napoli che lanciò gli improperi per la “fuga” di Rafa Benitez, che avrebbe sancito una verità incontrovertibile per i detrattori: il Napoli non vuole vincere, se Benitez va via. La stessa che poi avrebbe rinforzato la suddetta tesi alla firma di Maurizio Sarri da Figline Valdarno, ex Empoli, un tecnico provinciale da squadra provinciale, adatto ad un club che non aveva alcuna velleità di vittoria e nessuna ambizione di crescita.
E’ la stessa Napoli che si schierò al grido “Sarri uno di noi” appena un anno dopo, allorquando il presidente invece di imprecare e protestare contro la Lega Calcio per i torti arbitrali, decise di seguire la linea morbida della diplomazia. Quella stessa identica Napoli che appena qualche tempo prima aveva messo alla gogna il presidente per l’uscita burrascosa contro Platini, in occasione del furto ucraino nella prima semifinale europea col Dnipro, che avrebbe sancito l’antipatia del Napoli alle istituzioni calcistiche europee. Quella Napoli che aveva distrutto il proprietario del Napoli, ancora prima, quando aveva impedito alla squadra di presenziare alla premiazione della Juventus a Pechino, dopo le “sciagure” arbitrali dei 120 minuti in campo in Supercoppa.
Quella Napoli che nell’estate 2017 aveva avuto la “colpa” di cedere Manolo Gabbiadini per la cifra all’epoca iperbolica (parliamo di 20 anni fa) di 62 milioni di euro al Chelsea di Antonio Conte, dopo che l’attaccante di Calcinate aveva vinto il titolo di cannoniere della Serie A con 25 reti. Lo stesso Gabbiadini che, chi è meno giovane lo ricorderà, era stato francobollato dalla platea del tifo, appena un anno prima, come “inadatto” per Sarri e per la piazza di Napoli, tanto che quando si seppe dell’infortunio di Milik, la tifoseria insorse perché il Napoli non aveva pensato a sostituire degnamente il centravanti polacco, con l’acquisto di Klose o di Osvaldo. Gli stessi che solo un anno dopo si segnalavano come ex calciatori: il primo allenò solo qualche mese più tardi in Serie B tedesca, l’altro stava per lanciare il primo disco della sua band, dopo il successo estivo del suo primo singolo.
La stessa Napoli che contestò il presidente all’indomani della cessione di Marko Rog al Barcellona (per 105 milioni) quindici anni fa, facendogli recapitare addirittura minacce di morte e bloccando i cancelli di Castelvolturno per giorni.
Il Napoli, dopo vent’anni di polemiche, attacchi velenosi e contestazioni immotivate dice basta. Si ribella e smuove le coscienze della società civile, quella che dovrebbe sostenere ed aiutare l’unica realtà economicamente virtuosa di tutta l’area metropolitana. La SSC Napoli insorge contro la sciagurata politica della città, che non l’ha mai supportato, che non ha mai pensato a porre in essere un piano di sviluppo credibile e concreto per rivalutare periferie sfruttando il marchio Napoli, che non ha mai cooperato davvero, se non a chiacchiere, alla costruzione del nuovo stadio o all’ammodernamento del vecchio.
Il presidente De Laurentiis, prima di passare la mano e di cedere la maggioranza azionaria al gruppo indiano di Nuova Delhi (il mese prossimo è previsto il closing con il passaggio definitivo delle quote), lascia un Napoli stabilmente nell’ European Super League da oltre dieci anni, con uno stadio di proprietà avveniristico costruito con i soldi del club appena 15 anni fa e con un futuro roseo davanti a sé.
“Fate in modo che chi verrà dopo di me abbia sempre attorno il sostegno e l’affetto che a me sono sempre mancati. Fate in modo che la città di Napoli si riprenda il gusto di tifare in modo sano, di sostenere nel bene e nel male la propria squadra, l’unica squadra che rappresenta la città da 110 anni. Prima di abbandonare vi voglio ricordare che il Napoli è un patrimonio di tutti i napoletani, non fatevi più del male da soli e sostenete chi verrà dopo di me come non avete fatto con me.”
Queste le parole dell’anziano proprietario uscente della SSC Napoli, ormai al passo d’addio dopo una gestione lunga 32 anni e impreziosita da 4 scudetti, 6 Coppa Italia, 6 Supercoppe di Lega, 1 Supercoppa Europea ed una Champions League (oltre a due finali di European Super League). E che il domani sia davvero migliore!