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Partenopeismi

Due bagni d’umiltà

Un tempo era la tifoseria più bella del mondo ma la cosa che meraviglia maggiormente è il fatto che ancora oggi più di qualcuno voglia dipingerla come tale. Ci hanno sorpreso non poco i racconti di qualcuno secondo cui, nella serata nera vissuta dal Napoli vista la sconfitta interna contro l’Atalanta, il solo pubblico si sia salvato.

Ad onor del vero, ultimamente, un piccolo passo in avanti in tal senso è stato fatto: la tifoseria azzurra ha imparato a riconoscere ed apprezzare gli sforzi profusi dalla squadra. Una consapevolezza che ha fatto sì si riservassero agli azzurri cori di incitamento al termine della gara nonostante la sonora batosta.

Un dato, questo, sicuramente confortante che ha cancellato (ci si augura definitivamente) quei fischi spesso ingenerosi che in passato hanno accompagnato al termine delle gare i calciatori azzurri nello spogliatoio ma non l’etichetta, ormai inappropriata, di tifoseria più bella del mondo.

La verità è molto più cruda e indigesta: oggi, l’atmosfera che si respira allo stadio San Paolo è davvero triste. Gli spettatori che siedono sulle indecorose poltroncine dell’impianto di Fuorigrotta, da tempo, non sono più il famoso dodicesimo uomo in campo. I minuti che precedono l’inizio delle gare non sono più l’anticipazione di ciò che un tempo si udiva dal fischio iniziale in avanti: dalle curve, anche nel pre-partita di sabato sera, non si è alzato un solo coro di incitamento alla squadra. L’ingresso degli undici sul terreno di gioco è stato quasi accolto nell’indifferenza e il primo picco sonoro di una certa rilevanza è stato quello prodotto dai fischi destinati al mai apprezzato inno della serie A.

Non si tratta di una questione numerica: gli spettatori presenti ieri sera allo stadio San Paolo erano ben 45.000, una cifra considerevole vista la scarsa affluenza di spettatori che vive oggi gli stadi italiani.

Il tifo, inteso come incitamento costante e incondizionato alla squadra per cui si tiene, non esiste più. I decibel che piovono dalle tribune viaggiano sull’onda dell’improvvisazione, dell’iniziativa di irrisori gruppetti di tifosi che difficilmente riescono a coinvolgere ampi squarci di settore. L’atmosfera vera, quella che vede coinvolto tutto lo stadio, la si sente addosso solamente di seguito a fiammate di gioco, per poi perdersi in un nulla di fatto se l’azione pericolosa non si tramuta in gol.

Il fulcro del problema risiede in quelle che un tempo erano il cuore pulsante del tifo: le curve. Ad esse sono stati sottratti organizzazione, calore e colore: durante la gara le si guarda intensamente con gli occhi desiderosi di emozione, le si osserva con la voglia di rimaner stupiti, meravigliati, ma si rimane sovente delusi. Al di là dello sventolio metodico di discutibili bandiere, si gode davvero di poco altro.

In queste ore ci si lamenta dei tre punti persi contro una coriacea ed organizzata Atalanta, dell’allungo della Roma e del definitivo addio ai sogni scudetto senza riuscire a comprendere che in questo momento la cosa più bella che c’è è proprio la classifica frutto di un cammino proficuo e costante culminato in ben quattordici risultati utili consecutivi. Un cammino di tutto rispetto che non esplicita il fermento che giace nel sottosuolo, un marasma generale fatto di incomprensioni, divergenze di vedute e forse anche di obiettivi. I temi che scottano sono tanti e più di qualcuno sta minacciando di bruciare i sogni degli azzurri. Il Napoli ha dato tanto, forse troppo, ha raggiunto ambientazioni e contesti a cui non è abituato, situazioni da cui è facilissimo precipitare. Il Napoli rischia di abbandonare le atmosfere celestiali per tornare sulla Terra.

Il ciuccio va aiutato, sorretto. E non devono essere gli stereotipi a farlo, non può esserlo un’etichetta, una conquista del passato, una consuetudine che non ha più fondamento. Il San Paolo, fatiscente, inguardabile, sporco e impresentabile al momento è e resta la casa del Napoli, un nido che deve tornare a bollire di passione. Un focolare che c’è, esiste nella sua latenza ma si disperde tra i meandri di un’organizzazione mancante.

E allora svestiamoci del marchio di tifoseria più bella del mondo, smettiamola di vantarci di ciò che non esiste più, diciamo stop a comunicazioni trionfalistiche che esaltano l’invisibile.

Il Napoli torni a fare il Napoli. Il pubblico del San Paolo torni a bollire di passione vera.

 

About author

Guido Gaglione è docente di arte e immagine, operatore di ripresa e giornalista pubblicista dal 2015.
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