Hieronymus Bosch è un pittore olandese vissuto a cavallo tra il 1400 e il 1500. In una delle sue opere (Il giardino delle delizie) sono raffigurati il racconto biblico della creazione, del paradiso e dell’inferno. Nel dipinto, in un angolo remoto, appare un uomo sottoposto a tortura, il quale riporta sul suo ‘lato b’ una partitura musicale con una melodia. A distanza di 500 anni una studentessa dell’Oklahoma Christian University ha suonato per la prima volta la melodia che secondo la leggenda sarebbe stata destinata ad aprire le porte dell’inferno.
Uno squarcio artistico – quello appena raccontato – che ci ha ricordato la storia recente di Manolo Gabbiadini, calciatore catapultato a Napoli con rosee aspettative ma ben presto finito sotto “tortura” del suo allenatore. A distanza di circa 500 ore (non 500 anni) dalla sua cessione ci ha pensato lo stesso calciatore orobico a suonare per la prima volta la melodia che ha aperto le porte dell’inferno. Non si tratta dell’inferno dipinto da Bosch, ma quello che si respira nello spogliatoio del Napoli.
“Durante i primi sei mesi con Benitez le cose funzionarono bene. Il gruppo era davvero unito. Benitez fece una scelta coraggiosa ma coraggiosa: applicava in maniera scientifica il turnover”.
Quelle di Gabbiadini non sono bordate, non sono le esternazioni di chi ha sete di vendetta, non sono frasi di chi desidera sputare veleno. Quelle rilasciate da Manolo Gabbiadini sono stralci di verità: A Napoli Manolo ha fatto bene con Benitez, era animato da fiducia e consapevolezza. Il suo unico neo era colui che ha fatto le fortune del Napoli, aveva un nome e un cognome: Gonzalo Higuian. Ma nonostante ciò il suo spazio lo ebbe, a darglielo fu, proprio come sostiene lui, uno scientifico turnover.
E ancora…
“Sarri punta sempre sugli stessi, gli altri devono fare anticamera. C’è una linea ben marcata tra titolari e riserve. E’ una linea gestionale anche questa, ma è chiaro che chi resta fuori per un lungo periodo non può essere contento”.
Altro dito nella piaga. Una piaga che non fa una piega e non è solo un gioco di parole. I vari Sepe, Allan, Rog, Giaccherini, Strinic, Jorginho, Pavoletti, El Kaddouri (costretto a cambiare aria), non possono certamente essere sereni ed appagati, nonostante i risultati, sino ad oggi, abbiano dato ragione al mister.
Ma il bello deve ancora venire:
“Considero Sarri uno dei migliori allenatori con cui abbia lavorato, ma con lui non è mai scoccata la scintilla. Per me la sincerità e i rapporti umani vengono prima di ogni altra cosa. Mi piacciono le persone che dicono le cose in faccia”.
E’ senza dubbio questa la dichiarazione più pesante. Da un lato l’esternazione della stima professionale, quella palesata da tutti, quella che ha donato al Napoli un gioco spumeggiante, redditizio e altamente godibile, dall’altra, affermazioni generiche che hanno il sapore inequivocabile dell’accusa: sostenere di non apprezzare le persone che non dicono le cose in faccia e di apprezzare invece chi condisce i rapporti umani con cospicue dosi di sincerità equivale a dire che Maurizio Sarri agisce in maniera esattamente opposta.
Scenari – quelli aperti da Manolo Gabbiadini – che confermano che le problematiche cui sta andando incontro il Napoli forse sono solamente in minima parte tecniche, tattiche o fisiche, ma soprattutto gestionali e conseguenzialmente ambientali.
L’inferno che si cela tra le mura di Castel Volturno deve tornare presto ad essere Paradiso. A cominciare da stasera.