I latini dicevano “nemo propheta in patria”: già in tempi antichi era opinione diffusa che costasse molta più fatica imporsi in un ambiente familiare, piuttosto che altrove. Vanno un po’ in questa direzione le parole pronunciate nelle ultime ore da Lorenzo Insigne, direttamente dal ritiro della Nazionale.
Due interviste, a stretto giro di posta, nelle quali il talento di Frattamaggiore rompe il silenzio ed espone il suo pensiero sulla questione rinnovo: “I matrimoni si fanno in due, ho sempre dato la disponibilità al Napoli, poi il presidente lo sapete com’è”. Ed ancora, più esplicitamente: “Ho già espresso la mia posizione, se il presidente vuole continuare questo matrimonio bene, altrimenti ognuno andrà per la sua strada”.
Parole chiare e nette, che semplificano mesi di trattative per il rinnovo del suo contratto. Insigne si espone ora, è inutile negarlo, in un momento a lui particolarmente favorevole: 28 partite e 12 gol in campionato, già raggiunto il suo record personale in serie A stabilito l’anno scorso, ottenuto però giocando 37 gare. Record personale di presenze in Champions, avendo giocato tutte e otto le sfide europee del Napoli, impreziosite dal gol al Bernabeu.
Più di tutto, l’Insigne di quest’anno mostra una crescita evidente sotto il profilo della personalità, tentando ogni volta giocate diverse, quasi sempre decisive. La domanda di fondo quindi è: quale importo è lecito chiedere da parte sua in sede di discussione del nuovo contratto? In altre parole, qual è la cifra al di sotto della quale il matrimonio si scioglie?
Detto di ciò che Insigne sta facendo quest’anno, oltre all’indiscutibile apporto delle quattro precedenti annate, è anche giusto ricordare ciò che il Napoli, nella persona di De Laurentiis, ha fatto per lui. Lorenzo è cresciuto nel vivaio azzurro, ma prima dell’esplosione con Zeman a Foggia e a Pescara ha vissuto un impatto non proprio felice col calcio professionistico, alla Cavese, raccogliendo il magro bottino di zero gol in dieci partite. Poi la crescita, accompagnata da quella voglia da parte del presidente di vederlo finalmente in pianta stabile scorazzare su quella fascia sinistra a lui così congeniale. Dopo aver contribuito in modo determinante alla promozione in A degli abruzzesi, nonostante le insistenti voci di mercato, De Laurentiis non cedette alla tentazione di darlo ancora una volta in prestito (si parlava della Sampdoria e addirittura della nuova Roma di Zeman). Lo rivolle fortemente e pretese il suo inserimento tra i “titolarissimi” di Mazzarri.
De Laurentiis non ha mai messo in discussione Insigne. Lo ha protetto, tutelato, ha favorito la sua maturazione anche quando in due campionati ha segnato in tutto meno di dieci gol. Lo ha lasciato tranquillo, anzi ne auspicava una guarigione lenta ma definitiva, quando nel novembre del 2014 il ragazzo incappò nella rottura del crociato. Con Sarri è finalmente arrivata la consacrazione, scandita dalle parole al miele che il presidente gli ha sempre rivolto. Ma anche qui è obbligatorio ricordare un momento particolare. All’inizio dell’esperienza napoletana, il tecnico toscano proponeva il trequartista alle spalle delle due punte: Insigne si era offerto di fare il numero dieci ma, complice l’intero meccanismo ancora non rodato, fece molta fatica. De Laurentiis intervenne in prima persona, non per scavalcare il suo allenatore, ma per garantire la solidità del patrimonio societario: dal passaggio al 4-3-3, in meno di due anni Insigne ha segnato il doppio dei gol rispetto al totale delle precedenti tre stagioni. La media gol, per dire, è triplicata passando dallo 0,11 degli esordi allo 0,33 delle ultime settimane.
Ciò che ha detto Lorenzo in quel di Coverciano è legittimo, ci mancherebbe, ma risente di una tempistica un po’ sfasata. E’ facile parlare di rinnovo e adeguamento in modo così irremovibile quando si è in stato di grazia. Sembra quasi una ripicca nei confronti dell’“andate a farvi due bagni” pronunciato in estate dal presidente all’indirizzo dei suoi procuratori. Il difficile è mettersi nei panni del proprio datore di lavoro, cercando di capire che se la società si è imposta una regola sui contratti (ingaggi, diritti d’immagine, annessi e connessi) è per salvaguardare sè stessa, quindi indirettamente anche il proprio capitale umano. Non tocchi troppo la corda dei sentimenti, Insigne, sopratutto conoscendo da autoctono la natura sentimentale dei napoletani, ultimamente un po’ troppo inclini al “caccesordismo” nei confronti di De Laurentiis.
Sono lontani i tempi in cui un presidente del Napoli, che oggi va ad autoincensarsi in televisione, per fare il passo più lungo della gamba fu costretto a smobilitare quasi tutto il parco giocatori. Perdipiù ciò non servì ad evitare il fallimento. Di quella squadra faceva parte gente che si chiamava Cannavaro, Pecchia, Zola, Ferrara, Taglialatela, tutti molto forti, molti provenienti dalla primavera e napoletani di nascita. Si provasse solo un attimo ad immaginare dove sarebbe arrivato il Napoli se quel presidente avesse garantito un progetto pluriennale ad un allora emergente Marcello Lippi. Per fortuna quei tempi sono lontani ma, per carità, non facciamoli tornare.