La notizia del giorno è che il Napoli ha aperto il suo profilo ufficiale sul social network Dugout. Con tanto di comunicato ufficiale, il club di De Laurentiis ha annunciato l’approdo sulla piattaforma telematica esclusivamente dedicata al calcio, che conta ormai centinaia di account tra squadre e singoli atleti. Nato alla fine del 2016, Dugout è una sorta di Youtube del calcio, che già oggi alterna contenuti standard (highlights delle partite, interviste, etc.) a immagini esclusive. Il vero punto del discorso, tuttavia, non è capire cos’è e come funziona Dugout, bensì tracciare una linea di demarcazione tra il passato e il futuro della fruizione del prodotto calcio, cercando di comprenderne i possibili scenari.
In principio furono le pay tv: pacchetti di canali che, in cambio di un abbonamento, fornivano e forniscono ancora oggi film, serie tv, eventi live, ivi compreso lo sport. Il costo medio per un abbonato, tuttavia, resta considerevole in quanto per un mese di Sky, ad esempio, si superano i 40 euro. Poi è arrivato Internet. La piattaforma digitale è nata e cresciuta seguendo i canoni di fruizione passiva tipici del mezzo televisivo, subendo poi diverse trasformzioni fino all’attuale web 3.0, basato su concetti di interattività, geolocalizzazione, semantica (interpretazione e associazione del significato di un documento) e intelligenza artificiale. Risultato, oggi è la televisione a doversi adattare alle regole nel frattempo riscritte dal web.
La premessa può sembrare un po’ noiosa, ma è fondamentale per capire la direzione intrapresa negli ultimi anni dall’industria dell’intrattenimento. Guardare una partita in televisione, spesso, significa sorbirsi spot pubblicitari che vanno dal “superspot” delle paytv alla “piccola interruzione” della Rai durante il match. Vista dal lato dell’eterogenea massa di spettatori, nella maggior parte dei casi si tratta di pubblicità di scarso interesse. Ecco che Internet viene in soccorso delle multinazionali dando la possibilità di creare delle campagne pubblicitarie ad hoc fondate sull’uso personalizzato che ogni utente fa del suo device, pc, smartphone o tablet che sia. In questo modo si crea un’esperienza maggiormente coinvolgente e cucita addosso a ciascuno degli spettatori.
Dugout, da questo punto di vista, è l’anello di congiunzione tra il vecchio e il nuovo. Come tutti i principali social network, l’utente sceglie i suoi contatti. In questo caso è possibile aggiungere alla propria rete sia squadre di calcio che singoli calciatori. Una volta completata la lista, nella home page del proprio account è possibile scorrere tutti contenuti aggregati. Ciò, in termini di marketing, significa tracciare in rete i propri interessi, le proprie abitudini, l’uso che si fa del dispositivo. Qui entrano in gioco gli inserzionisti, che possono essere Coca Cola e Allianz, tra i primi partner di Dugout e da sempre associati al mondo del calcio, ma in futuro non è esclusa la presenza di grandi marche dell’abbigliamento sportivo, di brand che già associano la propria immagine al calcio (ad esempio Ford e Unicredit) oltre che, ma speriamo di no, siti di scommesse sportive.
Chi ha visto il film The Social Network, basato sulla creazione di Facebook da parte di Mark Zuckerberg, ricorderà che uno dei primi problemi che il giovane di White Plains fu chiamato a risolvere era legato all’originalità dei contenuti. Ebbene, in un’epoca in cui di social network ormai se ne conta una decina, cos’ha da offrire Dugout in più ai vari Youtube, Instagram, twitter e lo stesso Facebook? Due parole: più soldi. Se Zuckerberg, Jack Dorsey, Kevin Systrom e compagnia hanno badato principalmente alle loro tasche, il fondatore di Dugout Elliot Richardson ha offerto alle società di calcio la possibilità di mettersi in mostra, dividendo a metà i ricavi derivanti dalle visualizzazioni dei contenuti e dagli sponsor.
Non a caso, a capo della struttura commerciale si è insediata Kate Burns, ex Google, AOL e Buzzfeed. Al momento del lancio di Dugout, Burns ha dichiarato che il progetto punta sul target dei millennials, sempre complicato da raggiungere a livello pubblicitario. E non a caso, la grafica è volutamente ispirata ai videogames da consolle.
Quanto potrà guadagnare il Napoli dalla partnership con Dugout? Ce lo diranno il tempo e la capacità di sfruttare questo canale da parte di De Laurentiis, che appena l’anno scorso ha messo in piedi un apposito staff di esperti del settore capitanato da Serena Salvione. Fatto sta che la filosofia di Dugout sposa in pieno il concetto di stadio virtuale più volte sbandierato dal patron azzurro. Non resta che attendere i frutti, quindi, ma già da ora si può affermare che la semina è di quelle buone.