Il super sollecitato orgoglio partenopeo va necessariamente messo da parte.
La faccenda che ha riguardato – e sta riguardando con toni e contorni ancora più clamorosi – Younes e il suo legame con Napoli, non può non indurci a fare una considerazione importate.
Caro signor Younes, Napoli non ti è piaciuta. Ok, ci può stare. Non possiamo non svestirci della patina di napoletanità che da sempre ci riveste ed accettare che ciò che per noi è luce possa essere buio per qualcun altro. Del resto, la nostra città non è immune da negatività, talune delle quali anche di una certa rilevanza, soprattutto agli occhi di chi alle pendici del Vesuvio non vi è nato.
Lei afferma – oggi – di essere rimasto allibito dinanzi all’arretratezza della nostra città e di aver provato sconcerto allorquando si sarebbe imbattuto in una serie di camorristi.
Non abbiamo intenzione né di commentare le sue dichiarazioni, né tantomeno di difenderci dalle ingiurie (vere o fasulle non ci interessa) fuoriuscite dalla sua bocca.
Rispettiamo lo sdegno provato da un essere umano. In questo caso il suo.
Ci consenta però di dire che il punto focale è un altro, visto e considerato che al mondo non sta scritto da nessuna parte che ci si debba piacere per forza reciprocamente.
Lei ha dipinto Napoli come il pozzo nero del mondo, come il focolare mai spento di negatività e malessere, come la fucina su cui tutte le qualità si sono fuse in un batter d’occhio.
Ma come si definisce – invece – l’atteggiamento (non le parole) di un tedesco infallibile che sposa (firmando nero su bianco) un progetto lavorativo senza costrizione alcuna per sparire poi nel nulla, lasciando nello sconcerto più totale non solo la società acquirente del suo cartellino, ma addirittura il suo procuratore ignaro?
A prescindere da quelle che sarebbero le motivazioni, quali sarebbero i termini che lei utilizzerebbe per etichettare questo tipo di comportamento?
Il paradosso adesso non è più un concetto astratto, ma una bella gatta da pelare in carne ed ossa.
Amin Younes è un calciatore del Napoli e, al di là di ogni considerazione moralista, ci sembra davvero inaccettabile che la categoria dei calciatori sia privilegiata fino al punto di avere la libertà di firmare un contratto ed assumere poi tutta una serie di atteggiamenti che invece di certificare l’inderogabilità contrattuale evidenziano un’apparente immunità liberale.
Ha ragione De Laurentiis quando lascia intendere che i contratti dei calciatori devono tornare a dimostrare il valore intrinseco che posseggono.
La diatriba è appena cominciata, e alla faccia dei contratti sottoscritti, la casella del vice-Insigne è ancora tutta da riempire.