Quando ho fatto mie le parole che Fabio Cotone ha inciso su questo articolo mi sono sentito addosso il dovere di difendere Maurizio Sarri.
Esigenza insensata. Sì, perché si è trattato di una voglia nata a seguito della lettura di verità condivise.
Fabio ha fatto una fotografia perfetta, ma triste come i cori razzisti ascoltati ieri a Marassi, ingiusta come la rete di Higuain a Milano o – se volete – come l’epilogo di questo campionato.
Il calcio è ingrato e Sarri lo sa. Non guarda in faccia a nessuno, lega al dito in maniera indelebile i fallimenti, le sconfitte, e dimentica con uno schiocco di dita le imprese, soprattutto quelle che sentono solo il profumo delle pagine degli almanacchi senza soggiornarvi mai.
Sarri ama davvero Napoli, lo si legge dai suoi occhi sinceri, da quelle lacrime che non vengon giù per decenza, per la presenza di quel buco nero che ti osserva con severità e ti impone compostezza.
E Fabio ha ragione quando dice che Sarri ha paura. Teme di rovinare tutto. Teme di far peggio di quanto fatto sino ad oggi. E teme la gente finisca per contestarlo, indurlo ad andar via, rovinando irrimediabilmente l’attuale idillio.
Fabio ha ragione, ma ha ragione anche Sarri. Perché se negli anni a venire sulla panchina azzurra dovesse far peggio di quanto fatto sino ad oggi, accadrebbe proprio quello che teme adesso.
La critica lettura di Fabio traccia con l’evidenziatore la presunta codardia del tecnico del Napoli, incapace di spingersi oltre e perseverare nel credere ad un sogno solo accarezzato quest’anno. Sembra una stramberia, considerato il fatto si stia parlando di chi ha guidato con estrema abilità un gruppo verso un’impresa quasi impossibile.
Ma la versione di Fabio non è solo critica, è anche nostalgica e romantica. E’ legata a quel che non è stato ma che sarebbe potuto essere, sfiora il tasto del rammarico ma pigia forte su quello del riscatto.
Sentimentale. Romantico assai.
Ma forse sarebbe il caso di chiedersi perché Sarri è pervaso da queste paure. La risposta non è poi così scontata, non risiede insindacabilmente in una mancanza di coraggio.
Certo, potrebbe essere un suo limite. Ma le ipotesi vive sono anche altre e forse più plausibili.
Innanzitutto l’avere il polso della situazione in merito a quello che è il potenziale del Napoli. Forse, a prescindere dagli straordinari risultati acquisiti sul campo, è stato uno dei pochi a non dimenticare che motore avesse a bordo la macchina che stava guidando, a non dimenticare che la casa produttrice di questa automobile non fosse la Fiat, ma una giovane ed emergente azienda.
Quante volte ha parlato di fatturato? Quante volte ha fatto riferimento al potenziale? Se voi aveste percepito questo gap come incolmabile che decisione avreste preso al termine di una stagione che ha profuso e certificato uno sforzo disumano e quasi sicuramente irripetibile?
Ma gli scenari non sono finiti. Resta in piedi quello più inquietante: Sarri potrebbe lasciare perché schifato dal calcio italiano. La sua destinazione futura avvalorerà o meno questa teoria. Forse dinanzi alla Tv in albergo a Firenze è stato proprio lui a perdere, prima che i suoi ragazzi.
Forse è in lui che si è insediato quel senso di impotenza che ti svuota e ti fa toccare con mano l’irrealizzabilità di certi scenari. Pensiamo agli elogi rivolti alla squadra ieri dopo una bellissima (l’ennesima) prestazione. Complimenti quasi inaspettati, rivolti alla squadra, estraniandosi ingiustificatamente dal novero dei destinatari.
Forse a turbare Maurizio Sarri non è solo la paura, è qualcosa di più grande: la convinzione non sia possibile fare di meglio.
Sarri ci lascerà, ma lascerà qui il suo turbamento, lascerà a noi i suoi avvilenti convincimenti, lascerà nella terra che ama un orizzonte inquieto e triste come le festanti piazze juventine.