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Partenopeismi

Tutto è azzurro a Napoli. Anche l’ingratitudine

Era il 2004. Il Napoli era la mia passione. Da sempre. Una passione che temevo morisse. Giorni, ore, minuti trepidanti. Ogni istante poteva essere quello utile per sancire l’epilogo negativo di una Società che giaceva sull’orlo del baratro. Da un momento all’altro si sarebbe potuta scrivere la parola fine all’esistenza della S.S.C. Napoli.

Poi arrivò lui. Aurelio De Laurentiis.

Col suo naso da segugio fiutò l’affare, ha investito e salvato la mia passione.

“Vi ho tolto dalla merda”, ha spesso ribadito. Aveva torto. Nella forma. Aveva tremendamente ragione. Nella sostanza.

Agli escrementi seguirono Paestum, le serie inferiori, i campi infimi. Tutte inconsuetudini per la piazza partenopea, tenute unite dalla solita passione che da sempre ribolle nei tifosi.

Poi i primi successi, la risalita verso il calcio che conta e una scalata inarrestabile verso la vetta della serie A, solamente sfiorata quest’anno nonostante la conquista di ben 91 punti.

Presenza costante nell’élite del calcio che conta per ben sette anni consecutivi, monogamia nella scelta degli allenatori che si è rivelata quasi sempre vincente e interrotta solo per volontà degli stessi.

Un’ignoranza della materia calcio che si è ben presto trasformata in intuizioni geniali. Da Lavezzi ad Hamsik, da Cavani ad Higuain, vissuti in azzurro che hanno dato vita a gol, assist, successi, emozioni e, sull’apice della parabola discendente, plusvalenze. Una pioggia di milioni che ha consentito al Napoli di rimanere a galla senza affanni, donando ai propri tifosi un prestigio mai avuto.

Per non parlare della scelta dei tecnici, più o meno blasonati, arcinoti o semisconosciuti, ma accomunati sempre da un’oculatezza impressionante nella selezione e nell’individuazione.

Questo è stato per il Napoli Aurelio De Laurentiis.

Quattordici lunghi anni di gestione circospetta ma lungimirante, fatta di tante gioie e rarissimi dolori, tra i quali i mancati investimenti nel settore giovanile e nelle infrastrutture. Piccoli nei. Insignificanti macchie presenti sulla pelle liscia e profumata di una città che ha spesso puzzato di anonimato.

Stagioni a seguito delle quali si è dovuti ripartire, lasciandosi alle spalle successi e amori. Ma lui ha sempre saputo mettere il punto e a capo nel momento giusto, voltando le pagine di vita della sua creatura con le lacrime di malinconia agli occhi per ciò che lasciava e la fredda ferocia di chi desidera migliorarsi guardando avanti.

Di quanto accaduto ieri fatico pure a parlarne.

Carlo Ancelotti non è un allenatore, è un’icona. E’ colui che con uno schiocco di dita ha risollevato l’umore paradossalmente distrutto di una città orfana del suo Comandante. E’ colui che ha esposto il Napoli all’attenzione mondiale ancor prima di aver messo piede in città. E’ colui che aprirà porte di un mercato che in mancanza del suo arrivo sarebbero state sigillate a più mandate.

Non sappiamo cosa ci riserva il futuro. Non sappiamo se il Napoli integrerà la sua scarna bacheca.

Ma sappiamo che un sentimento andrebbe provato ed esternato.

Il popolo partenopeo, rinomato per la sua sensibilità e per il suo altruismo, non può continuare a non essere riconoscente al vero artefice di questo piccola grande capolavoro: Aurelio De Laurentiis.

Un uomo intelligente, abile, capace. Eppure contestato.

Paradosso tutto napoletano.

Si sa, Napoli è una piazza generosa, forse troppo. Chissà se riuscirà ad avere il cuore duro per estirpare e cestinare i vari “Pappone vattene”“De Laurentiis buffone” dal cuore pulsante del tifo partenopeo.

About author

Guido Gaglione è docente di arte e immagine, operatore di ripresa e giornalista pubblicista dal 2015.
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