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Partenopeismi

Si stava meglio quando si stava peggio

Si chiamava Hotel Ariston, località Paestum. Il Napoli post-fallimento ripartì da lì. Una zona periferica, tranquilla, la classica cattedrale nel deserto. La struttura alberghiera non comprendeva un campo da calcio per cui i calciatori azzurri erano costretti a raggiungere per gli allenamenti un terreno lì vicino, pure abbastanza malmesso.

La storiella dei palloni che scarseggiavano, resa quasi noiosa dalla ciclicità con cui viene ripetuta, è incredibilmente vera. Quel Napoli, davvero ripartì da zero.

I calciatori della neonata Napoli Soccer erano tutti nuovi, facevano tenerezza, quasi relegati in un angolo: magliette bianche e calzoncini blu ancora anonimi, unico segno distintivo il marchio dello sponsor tecnico, Robe de Kappa. Ingombrante era soltanto il peso che dovevano portare sulle spalle: l’eredità di una squadra capace di vincere due scudetti, appena quindici anni prima. Mai, nei 78 anni della sua storia, il calcio a Napoli aveva sconfinato in serie C. Nuova la categoria, nuovi erano i 19 giocatori a disposizione di Ventura, anche lui per la prima volta sulla panchina azzurra. Nomi e facce poco popolari, se non sconosciute. Calciatori di periferia, senza pedigree e ingaggi milionari in banca. In comune avevano la fierezza di indossare la maglia azzurra: per loro un traguardo, nonostante tutto.

A distanza di un centinaio di km vi era una città mortificata dalla categoria, che aveva sulla pelle i segni di una agonia sfociata inesorabilmente in un fallimento che non si è riusciti ad evitare in nessuna maniera.

Eppure, il napoletano ferito e terrorizzato dalla paventata scomparsa della sua primaria passione quotidiana, si animò di uno spirito nuovo e propositivo: per Napoli-Cittadella, prima al San Paolo in quel campionato di serie C, ci furono sessantamila cuori festanti sugli spalti, nonostante il pareggio finale.

Ma come? Pareggio in casa con il Cittadella? Ebbene si, gli azzurri non furono capaci di vincere. La gara finì 3-3, una mancata vittoria forse dovuta alla scarsa condizione atletica di un team costruito di fretta e furia con gli «scarti» o i fuori rosa altrui.

Eppure in città non fiatava nessuno, pressoché inesistenti gli aliti di contestazione, nell’atmosfera napoletana aleggiava solamente la felicità di essere rinati e l’orgoglio di esserci nuovamente.

Sentimenti che furono in essere dal primo giorno, senza morire mai: in C, in B e nemmeno una volta tornati in A.

Quando il benessere fa male

A distanza di quattordici anni il paradosso si è impossessato del capoluogo partenopeo. Adesso che si è di nuovo in salute non si pensa più alla malattia e nemmeno alla morte. Anzi, si pensa a come raggiungere il paradiso. Non si guarda più indietro e si guarda avanti, sempre più avanti, troppo avanti. La proiezione fatta dai tifosi ha superato di gran lunga quella lungimirante ma oculata del Presidente Aurelio De Laurentiis.

Quest’ultimo studia, programma, pianifica e lo fa tenendo sott’occhio dei parametri ai quali non può sottrarsi. Molti tifosi, invece, si sono imborghesiti ed hanno alzato oltremisura l’asticella.

Si ragiona come se il Napoli fosse il Real Madrid, si pretende. Che brutta parola, la pretesa, soprattutto se adoperata inopportunamente.

Non si tratta di essere pro o contro ADL, chi vi scrive non lo sta accusando e non lo sta nemmeno difendendo. Cerchiamo di essere intellettualmente onesti, cerchiamo di essere lucidi e giusti.

I dati di fatto

Ciò che noi tutti non dovremmo mai rimuovere dai nostri occhi è un dato oggettivo: il calcio si fa con i soldi e il Napoli partecipa ad un campionato in cui esiste una squadra che ne ha molti di più di tutte le altre. Inutile soffermarci su cosa, in termini pratici, si riversi lo strapotere economico della Juventus, sarebbe banale e superfluo. La sintesi estrema, dunque, non può essere che questa: in Italia è quasi certo che lo scudetto venga vinto dalla Juventus, ma siccome il gioco del calcio è bello perché apre spiragli anche alle sorprese, è giusto che anche gli altri sognino. Sognino, non pretendano.

E invece, pur vivendo uno dei momenti più belli della Storia della S.S.C Napoli, siamo circondati da malumori, da cortei di papponisti e contestatori, da striscioni che puzzano di insensatezza.

Napoli dovrebbe pretendere eccome, ma da se stessa. Dovrebbe imparare ad essere matura, lucida, logica, razionale, oculata. Dovrebbe imparare a pesare la realtà, valutarla per quella che è e pretendere in rapporto alle potenzialità che esprime, non relativamente ad incongrui parametri.

Altrimenti, finiamo per essere la città del masochismo, dell’autolesionismo, quello dell’orticello mio è più bello del tuo, privandoci del potenziale più proficuo dell’acquisto di Cavani: l’unione d’intenti.

About author

Guido Gaglione è docente di arte e immagine, operatore di ripresa e giornalista pubblicista dal 2015.
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