Il San Paolo è un cesso. Una frase sentita più volte, non ultima, dalla voce di Aurelio De Laurentiis. Baggianate? No. Lo stadio napoletano è in condizioni pietose, con o senza intervento comunale in ottica universiadi.
Il sogno di avere uno stadio all’altezza non ci ha mai abbandonato così come l’invidia provata ogni qual volta ci siamo imbattuti in stadi altrui di sopraffina qualità estetica e funzionale. Un sogno tramutato in frustrazione perché i desideri si sono sempre infranti dinanzi a nauseanti e ripetute promesse rimaste tali.
La speranza riposta in una sempre meno probabile svolta ha motivo di continuare ad esistere?
Ci sta nascendo dentro un atroce dubbio: forse siamo noi ad essere presuntuosi. Forse siamo dominati da un’ambizione ottimistica. Questa città è capace di svoltare totalmente? E soprattutto, è giusto lo faccia?
Siamo pervasi da molti dubbi. Dinanzi ad una società di calcio che fa bene il suo mestiere si è costretti a fare i conti con corposi filoni papponisti di incomprensibile ideologia. Dello stadio si parla ormai da anni, ci viene da sorridere, un sorriso amaro, che sostituisce lacrime asciutte. Se pensiamo alla paventata soluzione di Palermo per far disputare le gare interne al Napoli, il sorriso diventa scompiscio.
La barzelletta più divertente dell’universo è mostrata al mondo, che ringrazia e si diverte, alle spalle di quei napoletani che, vittime di protagonismo accecante, continuano a reputarsi unici, impeccabili e infallibili, malati di inguaribile alterigia.
Napoli, sotto certi versi, sembra immodificabile, vittima di cavilli mentali la cui presenza addirittura proscioglie quelli burocratici.
E’ così che il mito di Napoli avanza, nei secoli. La saga ha un filo conduttore immutabile, fatto di eccessi e contraddizioni, di straordinarietà e scempi, di vanti e lamentele.
Una sorta di ready-made di stampo dadaista che vede associati aspetti contrastanti, opposti, senza punti comuni. Forse Napoli è questa e non la si cambierà mai.
Forse la sua bellezza risiede proprio nella sua ambiguità. Forse migliorarla vuol dire distruggerne l’identità, la storia.
Forse.
Il dubbio rimane. Un’indecisione forse frutto del nostro avvilimento momentaneo o forse, più semplicisticamente, di una palese diversità di vedute.
Prende sempre più corpo la teoria che vede noi sbagliati, inopportuni, attendisti incalliti di un qualcosa che non accadrà mai.
Nel frattempo il San Paolo continua ad essere un cesso, ma niente allarmismi. Del resto, non sarebbe nemmeno l’unico orinatoio a godere di notorietà: vero, Marcel Duchamp?