L’isola felice di Ancelotti rischia di produrre un naufrago inaspettato. Perché se è vero che le gerarchie del nuovo Napoli stanno favorendo lo sbocciare di insospettabili “brutti anatroccoli”, non è da sottovalutare la foschia che circonda colui che Ancelotti ha vestito di nuove responsabilità, per ora disattese. Chiaro che si parli del capitano, ancora una volta al centro di discussioni e critiche, nonché reduce da una serie di prestazioni quantomeno sotto tono, escludendo il buon subentro ad Udine in veste di “normalizzatore” di gioco. Performance con pochi vizi, ma non certo cardinale.
Azzardando un’analogia alla settima arte, potremmo accostare questo Hamsik alla figura di Natalie Portman che interpreta “Il Cigno Nero” di Aronofsky: un talento conclamato poco propenso ad emergere quando le problematicità incalzano.
Sia chiaro, i limiti caratteriali di Marek sono di portata infinitesimale rispetto alle paturnie dell’instabile Nina Sayers, ma rapportando tutto alla realtà di campo possiamo individuare delle basi emotive notoriamente labili.
ALLERGIA ALL’EUROCOACH
La speranza è sempre quella di essere smentiti, ma finora Hamsik ha dimostrato una scarsa predisposizione a rapportarsi con gli allenatori di una certa caratura: è importante la differenza di rendimento dimostrata con i cosiddetti tecnici “provinciali” e la qualità espressa sotto la guida di mentori dal palmares ben più florido. Con i primi Marek ha goduto di una considerazione rilevante, un’imprescindibilità d’ufficio che ha giovato anche alla sua tenuta caratteriale, vedendosi annullare qualsiasi potenziale concorrente; ben più traumatico è stato il rapporto coi tecnici più scafati: cambi di ruolo mai del tutto assimilati, performance scialbe, nonché una serie di fastidiosi infortuni, hanno segnato il rapporto tra Benitez e Hamsik in maniera certamente non fruttuosa, nonostante un inizio esplosivo, rimasto però una parentesi isolata nell’era del tecnico spagnolo. Ancelotti, per esperienza continentale e filosofia di gestione del gruppo, si avvicina molto al tipo di mentalità rafaelita: quella dove l’obiettivo e la squadra vengono prima del singolo, e purtroppo ci duole notare che per ora Marekiaro pare vivere le stesse problematiche del biennio ispanico.
TOO GOOD IS TOO BAD
Un aspetto ineccepibile dei dodici anni di carriera azzurra del capitano, è rappresentato senz’altro dalla professionalità e il profondo rispetto dimostrato nei confronti della piazza e della città. Gli sperticati elogi alla tifoseria e alla comunità partenopea gli hanno assicurato un ferreo supporto sia da un’ampia fetta di seguaci che da una parte della stampa locale. Ciò presupporrebbe un clima idilliaco con l’ambiente circostante, ma se invece fosse proprio questo continuo riparo costruitogli intorno ad aver permesso a Marek di adagiarsi sulle sue stesse caducità? In una piazza impaziente e criticona, dove si sono messi in discussione talenti anche più pregiati, Hamsik rappresenta una inconsueta tregua alla volubilità umorale dell’urbe calcistico, forte di un manipolo di irriducibili sostenitori, sempre pronti a rivendicare i record, le presenze, la fedeltà e la “napoletanità” dopo una prestazione anonima. In pratica, manifestazioni d’amore che si appellano ai numeri, senza però argomentare granché delle effettive prove in campo.
“SORPRENDERE SE STESSI PER SORPRENDERE CHI GUARDA”
Per quanto siano evidenti le criticità dell’ultimo periodo, è deleterio mortificare gratuitamente un tesserato che si è macchiato di pochissime sbavature a livello professionale, così come siamo convinti che, tra le fila dei tifosi partenopei, non esista nessun vero “detrattore” del capitano, ma piuttosto spettatori amareggiati da una personalità che ha brillato a sprazzi d’intensità variabile. La presunta velleità estiva di respirare aria orientale, in competizioni meno probanti e dal valore tecnico ridimensionato, forse ha rappresentato uno spartiacque significativo tra lui e la comunità azzurra: non tanto (ma anche) per aver messo in dubbio il suo legame con la città, quanto piuttosto per la preoccupante rinuncia a voler ancora brillare in tornei di alto livello. Si spera che tutto ciò sia stato solo chiacchiericcio da rotocalco e che Hamsik, solo lui, abbia capito che alla sua età deve ancora credere di potersi superare, di stupirsi per ciò che ancora sarebbe capace di dare, che ha il dovere di dare. Non per zittire i malpensanti, non per ingraziarsi i fedelissimi e nemmeno per amore della maglia. Esclusivamente per se stesso. Tutti gli altri, devono sbalordirsi dopo il novantesimo. Perché quest’anno si può andare in scena anche con altri protagonisti.