Il Napoli chiude il 2018 con una vittoria, piegando non senza difficoltà un volitivo Bologna con una giocata di Dries Mertens (ed un errore di Skorupski), dopo che i felsinei avevano rimontato ben due volte i gol di Milik.
Per il Napoli un secondo posto tutto sommato blindato, dopo la sconfitta di misura patita allo scadere nello scontro diretto con l’Inter. Cinque le lunghezze mantenute sulla Beneamata (erano otto prima della sciagurata serata del Meazza), addirittura dodici sulla Lazio quarta, tredici sul Milan e quattordici sulla Roma.
Diciamoci la verità, così come la Juventus in chiave scudetto record, anche il Napoli sta conducendo un campionato a sé stante, con ritmi troppo alti per tutte le inseguitrici. E’ verosimile che la squadra di Ancelotti raggiunga con relativo anticipo la Champions matematica, anche perché il gruppone che insegue il quarto posto, ultimo posto utile per la Champions, è molto folto ed è probabile che la lotta sia serrata fino alla fine, cosa che abbasserebbe di molto il tetto dei punti utili per la quarta posizione.
Facendo un’analisi delle ultime apparizioni, però, va detto con asettica chiarezza che la squadra di Ancelotti non ha affatto brillato, anzi. Dal match di ritorno col PSG in Champions League in poi , infatti, il Napoli ha un tantino “annaspato”. Tolta la gara col Frosinone, vinta con un 4-0 netto, nelle 10 gare successive a quella del Parco dei Principi la squadra azzurra pur avendo inanellato risultati positivi (6 vittorie, 1 pari e due sconfitte di misura con Liverpool e Inter in trasferta) non ha certo incantato per qualità di gioco, condizione e soluzioni offensive.
Si può parlare di difficoltà realizzativa?
Parlare del secondo attacco del campionato con sfumature di preoccupazione rientra in un artificio dialettico un tantino azzardato, ma qualcosa che ha smesso di funzionare rispetto al passato c’è. Aldilà dei freddi dati numerici che sembrano mettere al riparo il Napoli da casi di anemia realizzativa (gli azzurri in questo scorcio hanno rifilato quattro gol al Frosinone, tre a Stella Rossa e Bologna, due ad Atalanta e Genoa in trasferta), infatti, l’undici di Ancelotti ha vinto ma stentato con Cagliari, Spal e se vogliamo anche col Bologna, non avversari di caratura eccelsa.
Se analizziamo l’ultimo scorcio del percorso, dal Cagliari in poi, vediamo che un po’ di fatica è emersa anche nel trovare la via della rete. La partita di Cagliari (risolta da Milik allo scadere con una prodezza balistica), quella con la Spal (vinta per un miracolo di Meret a difesa dell’unico goal di Raul Albiol su calcio d’angolo), unita alle sconfitte di San Siro e di Anfield Road forniscono un quadro piuttosto preoccupante, se analizziamo la propensione offensiva della squadra e la capacità di produrre occasioni da rete.
A questo vanno sommati il momento non proprio felice di alcuni singoli come Hamsik e Insigne, la scarsa vena di Zielinski che stenta a consacrarsi e a far emergere il talento che pure ha ed un Fabiàn in chiaroscuro, che alterna lampi di classe a momenti di abulica assenza.
Il 4-4-2 e la ricerca della solidità
Le scelte tattiche di Ancelotti inizialmente sono andate verso un 4-4-2 canonico, schema che garantiva al Napoli una certa copertura, un equilibrio stabile tra i reparti e la profondità che è un po’ il segno distintivo delle squadre del tecnico di Reggiolo.
La promozione al ruolo di punta di Lorenzo Insigne e la sua ritrovata vena realizzativa avevano in parte coperto le “note dolenti”: tra queste la scarsa attitudine di Marek Hamsik al ruolo di regista davanti alla difesa, che ne ha limitato le innate doti di inserimento in fase offensiva; il sacrificio “tattico” di Josè Callejòn, storicamente prolifico e presente nei tabellini dei marcatori, ma ancora clamorosamente a secco dopo il girone d’andata e, ancora, la difficile collocazione di ali e trequartisti come Zielinski, Ounas, Verdi ed ora anche Younes in un impianto tattico in cui la loro unica zona d’azione resta la fascia, almeno come posizione di partenza.
L’intuizione di Fabian come quarto di centrocampo, d’altro canto, ha offerto numerose varianti allo sviluppo della manovra del Napoli, sempre sostenuta da terzini che salgono spesso e che diventano vere e proprie ali all’occorrenza. In una fase iniziale le cose sono andate molto bene, il Napoli ha trovato una “graniticità” che lo ha portato a neutralizzare attacchi atomici come quelli del Liverpool e del Psg in Champions, con prove maiuscole e lezioni tattiche impartite agli avversari.
Cosa sta accadendo?
E’ verosimile ed anche plausibile che il problema del Napoli nelle ultime apparizioni, se di problema si può parlare avendo la squadra comunque ottenuto lusinghieri risultati, possa essere esclusivamente di natura motivazionale. Va detto senza girarci intorno che nell’ultimo mese la squadra azzurra ha fallito quelli che erano gli obiettivi di questa prima fase di stagione: accedere agli ottavi di Champions League e rimanere il più possibile aggrappato al primo posto.
Aver focalizzato le energie mentali su questi due obiettivi e non averli centrati, sicuramente anche a causa della malasorte, potrebbe aver ingenerato una decompressione degli stimoli ed una reazione di rilassamento frutto anche della fisiologica delusione, dovuta alla consapevolezza di aver giocato alla grande contro avversari invalicabili e di meritare la qualificazione alla fase successiva della massima competizione continentale.
Una squadra che fallisce i momenti clou
Il dato che emerge chiaro è che questa squadra ha mancato gli appuntamenti fondamentali, quelli in cui bisognava piazzare la zampata e finalizzare quanto di buono fatto fino ad allora: le sconfitte con la Juventus e l’Inter in campionato (le uniche “grandi” attualmente in Serie A) e il match perso a Liverpool, quando bisognava mettere in ghiaccio una qualificazione costruita con fatica a suon di grandi prestazioni, lasciano pensare che il Napoli non sia ancora una squadra matura per grandi obiettivi.
“Non manca molto e quel poco che manca spero di riuscire a darlo io”
Ora più che mai si sente il bisogno della mano di Ancelotti. L’allenatore che ne ha viste e vissute di tutti i colori a tutte le latitudini d’Europa deve individuare la medicina giusta per ridare smalto alle gambe ma soprattutto alla testa del Napoli.
“A questa squadra manca poco per vincere e quel poco che manca spero di riuscire a darlo io”
Ancelotti ora deve fare l’ Ancelotti, come lui stesso ha ammesso deve essere lui a dare al Napoli quell’ultimo tassello per assurgere ad una dimensione definitiva di grandeur. Altrimenti la sua permanenza a Napoli rischia di diventare solo un’operazione di marketing e simpatia.
Il tecnico ora deve riconfigurare squadra e spogliatoio sui nuovi obiettivi, che non sono ovviamente più quelli della prima fase della stagione. Gli azzurri devono, intanto, mantenere la seconda posizione e per farlo non possono mollare un centimetro, visti anche gli ultimi risultati dell’Inter ed il recente risveglio della Roma.
In Europa c’è l’intrigante sfida dell’Europa League da cogliere e prendere al volo. A Napoli un trofeo continentale manca dal 1989, giusto 30 anni fa gli azzurri portarono in bacheca la Coppa Uefa, non sarebbe affatto male riprovare la cavalcata trionfale di Maradona e compagni e riscrivere il nome del club nell’albo d’oro di un trofeo continentale che resta importante e prestigioso. Poi c’è la Coppa Italia, competizione minore ma certamente non da disdegnare per un club che deve rispolverare una bacheca non certo piena di titoli.
I “nuovi acquisti”
Tutto questo lo si deve ottenere anche con l’aiuto di nuove risorse dallo spogliatoio, facce nuove e veri e propri rinforzi come Meret, Verdi, Younes, calciatori che possono dare un contributo importante e magari fornire ad Ancelotti nuove chiavi di lettura a livello tattico e nuove armi, considerando anche le tre competizioni in cui gli azzurri proveranno ad arrivare fino in fondo. La rotazione di tutta la rosa, vero e proprio “marchio di fabbrica” di Carletto, dovrà rappresentare l’elemento vincente su cui puntare per ottimizzare energie e diluire i cali di rendimento che sicuramente arriveranno al culmine di una stagione lunga e faticosa.