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Un pallone, un tiro, un gol e quel mondo che non esiste più

Un tiro a giro capace di riconciliare col gioco del calcio, un rimpallo strano, il portiere beffato, la palla che finisce in rete. Ad esultare è Stefano Sturaro, il calciatore più chiacchierato dell’ultimo mese.

Ma non è il suo talento inarrivabile ad aver acceso i riflettori su di lui, bensì la sua cessione al Genoa a titolo definitivo. Provenienza? Juventus F.C.

A fare scalpore è stata la cifra pagata dal Genoa, ben 18 milioni di euro per un calciatore bravo si, ancora giovane ma fermo ai box da tanto, troppo tempo.

I retropensieri sono esplosi in tutta la loro dirompenza, seguendo l’eco di tanti altri spifferi poco edificanti che oramai hanno reso il calcio la pattumiera dei veleni.

Fermiamoci un attimo e chiediamoci cosa sia diventato questo gioco.

Nonostante avesse portato in vantaggio i “cugini” genoani, sebbene avesse portato in svantaggio la Juventus, di quel tiro a giro nessun napoletano ha goduto. Perché?

Semplice: non è stato interpretato come un bel gesto tecnico ma come un banale tiro a cui l’estremo difensore juventino non ha opposto resistenza per volere della società di appartenenza. Motivo? Ricompensare un acquisto così oneroso da parte del grifone.

Ma che sport stiamo seguendo?

Dietro un gioco stupendo, fatto di emozioni, purezza, estemporaneità, casualità e genialità c’è ormai un mondo, reale o fantastico poco importa, conta che ci sia. Una realtà parallela, fintamente sommersa, che giorno dopo giorno prevarica in maniera sempre più evidente l’innocenza di un gioco irreprensibile nella sua sostanza primordiale.

Si fa dietrologia per ogni giocata, per ogni evento, per ogni circostanza, per ogni risultato. Nulla è più puro, incontaminato. Nulla è più credibile. Siamo sommersi da torbidità, generatrice di malessere fisico e mentale, assuefatti da un andazzo sfiduciato e reticente a qualsiasi forma di credulità.

Un tempo, un pallone da calcio era pregno di sogni. Bastava il suo profumo di cuoio vergine a spedirci in quel mondo surrealista da cui si faceva fatica ad uscire.

Non chiediamoci perché oggi viviamo male. La risposta è così evidente da esser trovata, anche, osservando quello che un tempo era l’emblema della felicità: un pallone da calcio.

About author

Guido Gaglione è docente di arte e immagine, operatore di ripresa e giornalista pubblicista dal 2015.
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