Manca un attaccante, manca un terzino sinistro, manca un centrocampista. Manca. Manca e ancora manca.
Un tormentone assillante, fastidioso, decisamente molesto che, per fortuna, sta calando di intensità man mano che aumentano le ore che ci separano dall’ennesima sconfitta torinese.
Due mesi di interminabile calciomercato non sarebbero bastati al trio De Laurentiis/Giuntoli/Ancelotti per puntellare il Napoli laddove ne aveva bisogno.
Una marea di gente comune che non ha un titolo, non ha esperienza, né tantomeno competenza, che si sostituisce a professionisti del settore. Ma che roba è? Questo è diventato il tifoso napoletano?
Dove è finita quell’icona emblematica che ha sempre incarnato meglio di tutti un sentimento viscerale? Che fine ha fatto quella figura che ha sostenuto a prescindere e difeso ad oltranza? Dove sta il tifoso che si limita a fare se stesso?
Noi, che cerchiamo sempre di essere obiettivi, lucidi, evitando di farci prendere da crampi istintuali, ci sentiamo quasi inadeguati, in crisi d’identità. Se non contestiamo alla prima occasione non rispecchiamo i caratteri del tifoso napoletano doc? Incredibile ma vero: stiamo lì lì per porci una domanda così paradossale.
Oggi il tifoso napoletano sostiene poco e critica tanto, spesso immotivatamente. E’ davvero triste pensare ad un contestatore piuttosto che a un sostenitore quando si immagina quello che per molti è ancora il tifoso più caloroso al mondo.
Alla prima occasione, sul carro dei contestatori, stracarico come un treno della circumvesuviana alle sette del mattino, ci salgono tutti coloro che affidano all’istinto le proprie reazioni e i loro comportamenti.
E la logica? I ragionamenti su fatti reali? Le constatazioni pregne di onestà intellettuale? Evaporate.
Qui non si tratta di contrapporre una teoria all’altra, non bisogna stabilire a chi spetta lo scettro della verità, si tratta di volgere lo sguardo verso il passato per capire che, sovente, si è frettolosi nei giudizi. E si sbaglia. Anche clamorosamente.
Settembre del 2018 ne è un esempio: il Napoli uscì dal Ferraris di Genova annichilito sotto i colpi della Sampdoria. 3-0 per i doriani il risultato finale. Una debacle numerica ma non solo. Il Napoli sembrò allo sbando, senza identità, senza capo e senza coda. Il processo mediatico e popolare decollò immediatamente senza pietà. Preoccupazioni fondate quelle dell’epoca? Niente affatto. La restante parte di campionato ci ha poi raccontato un’altra storia.
E allora perché non lasciamo che la storia lasci traccia di sé sulla nostra pelle? Perché la memoria è sempre corta, tremendamente corta?
Dire che in questa stagione il Napoli non è partito bene in campionato risponde al vero. E non tanto per i numeri: raccogliere tre punti a seguito di due trasferte complicate non è un bottino magro. Sono altri gli aspetti che hanno destato qualche perplessità. Ma, da qui a distruggere tutto, ce ne passa, soprattutto dopo appena due giornate.
Il vento è però contrario alle nostre parole, le smorza, le rende fioche. Anzi, ad innalzarsi è la voce predominante, quella contestatrice, quella demolitrice, quella che urla al mondo che Carlo Ancelotti è un deficiente che ha trascorso un’estate intera a giocare a carte per poi ritrovarsi a settembre con un Napoli senza attaccante di livello.
Quella che impone un urgente cambio modulo, quella stridente proveniente dal rimpianto per non aver incassato i soldi del PSG per un Allan che oggi cammina, o per aver rispedito al mittente i fior di milioni offerti per Koulibaly che avrebbero consentito di eliminare dagli undici un bidone specialista di autogol e comprare, magari, altri cinquanta Bari Calcio.
Calma e sangue freddo è un modo di dire che in questa città sembra non attecchire.
Adesso c’è la pausa del campionato, sarà anche una pausa riflessiva sugli aspetti antropologici del tifoso ingrato? Ci crediamo poco. Forse è meglio godersi la frangia intelligente, evoluta, avanguardistica, che c’è, esiste. Forse, ha solo la colpa di essere poco rumorosa.