Inferno non è, chiariamo. L’inferno è la B, l’inferno è il fallimento, l’inferno è il tracollo. Di certo questo Napoli però, è ancora fermo, saldamente e costantemente, nel suo personale Purgatorio.
Basta ricollocarlo repentinamente in una delle sette cornici in cui Dante lo ha suddiviso e non vederlo purificato e sfavillante nella luce del Buon Dio, come molti avevano fatto, specie dopo il match contro la Juventus, e il gioco malefico è fatto.
Gattuso lo aveva annunciato: la partita contro il Lecce sarebbe stata una trappola. Ha messo le mani avanti? No, non lo vogliamo credere assolutamente.
E’ allora perché è stata una trappola? Perché il Lecce, nonostante spessore e situazione stagionale, sarebbe venuto a Napoli per GIOCARE e GIOCARSELA. E così ha fatto. Ha giocato, nonostante la sua caratura almeno sulla carta non superiore al Napoli, e ha mandato in tilt una squadra che nei primi venti minuti ha ben impressionato. Gioco veloce e tentativi in porta che comunque qualche buona speranza l’avevano accesa. Quei primi ventinove minuti in cui qualche stortura si è vista ugualmente, col rientrante Koulibaly sul filo dell’inguardabilità su Lapadula che sembra aver ingoiato un biscotto a forma di Messi.
Quel fatal minuto ventinove in cui il vantaggio del Lecce, però, spiazza gli azzurri e arrotola le loro sinapsi come involtini. Lapadula totalmente smarcato è un orrore pari a quello dell’ananas sulla pizza.
Immancabile il solito palo, a firma stavolta di Insigne. Un palo si sa, non si nega a nessuno.
Un primo tempo che scorre così, tra un disorientamento e l’altro, con una squadra troppo lunga e via via sempre meno concreta e con quel risultato sui tabelloni che comunque non piace.
L’intervallo si sa, è un momento di breve analisi, eventualmente della riaffilatura dei coltelli, possibilmente rimettendoli poi nella loro collocazione ideale, ossia tra i denti dei giocatori.
Un match in casa, con un pubblico presente e caloroso, sebbene non costantemente inneggiante (ultras della B assenti per motivi non del tutto ancora chiari), l’orario bellissimo, quello storico, quello di uno dei cori più amati, non può restare troppo a lungo con quel risultato impresso sui tabelloni.
Tre minuti dalla ripresa e ci pensa Milik che, nonostante sia capace di sciupare la maggior parte dei suoi tentativi realizzativi, insacca e riaccende le speranze azzurre.
Speranze che nuovamente Lapadula disintegra con un gol che è l’ennesimo frutto delle cavolate difensive della squadra partenopea. Non si gioca bene, lo si sta vedendo tutti.
Il cambio di Lobotka con Mertens lascia un centrocampo a due che rende la squadra sbilanciata e permette a gente come Falco, ad esempio, di farsi il campo avanti e indietro in scioltezza assoluta.
Come per i pali, anche per i rigori vale la stessa regola ma nel verso opposto, ovvero: è rigore? Sei il Napoli? Te lo puoi scordare!
L’arbitro Giua in pochi secondi ci ricorda che il Napoli non ha ancora finito di pagare il suo debito di Mertens a Firenze e, sul fallo in pienissima area di rigore di Donati su Milik, non solo non consulta il VAR, ma nega il rigore e ammonisce Milik per simulazione.
E’ l’apice: pochi minuti e Mancosu piazza una punizione alle spalle di Ospina che disintegra ogni velleità azzurra di risollevamento. Non basta la rovesciata del Callejon sostituente Politano a risistemare le cose.
La partita è persa, così come il primo step del filotto fantozziano auspicato per riavvicinarsi alla zona Uefa. All’orizzonte la pazza Inter nella semifinale di Coppa Italia e poi l’ennesima, insidiosa trasferta di Cagliari.
Questa partita – trappola sembra averla persa Gattuso, con qualche scelta ancora discutibile (in porta in primis), con una difesa in cui Hysaj attualmente in forma viene tenuto fuori e qualche cambio troppo tardivo.
Cosa ci aspetta l’immediato futuro? Ancora passi da gambero, ancora Purgatorio? A quando la completa purificazione di questa squadra? Troppi interrogativi, vero, ma tutti legittimi dopo una disfatta che non avrebbe dovuto nemmeno esistere nei vaghi pensieri di un giocatore, di un allenatore ed anche di un semplice, appassionato tifoso.