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Un cuore in gioco. Anzi due

Le dichiarazioni di Gattuso a fine gara sulla sua condizione personale sono arrivate puntuali a gettare acqua su un fuoco ardente assai.

“Voglio fare un appello a tutti i ragazzini che hanno paura che hanno un qualcosa di strano e non si vedono belli allo specchio: la vita è bella e bisogna affrontarla senza paura, non bisogna nascondersi”

Chiunque abbia un cuore si è fermato a riflettere sulla condizione umana, sulla sofferenza, su ciò che ha un valore smisuratamente maggiore di una palla che rotola. Superfluo dire che umanamente siamo addolorati e toccati nel profondo rispetto alla condizione di un uomo che, già da qualche settimana, sta lottando e soffrendo. Non pensavamo che un occhio bendato nascondesse un disagio di tale portata.

Immaginiamo che lavorare in queste condizioni sia stato e sia difficilissimo. Qualsiasi lavoratore se non è in ottima condizione psicologica non può rendere, non può produrre.

Bellissimo il messaggio lanciato ai più piccoli. Su questo aereo di carta viaggiano principi nobili: la lotta alla discriminazione, l’inno alla vita, all’autostima, alla valorizzazione dei valori che contano davvero, all’essere, piuttosto che all’apparire.

Quando uno proviene dalla miseria, la conosce, ce l’ha sulla pelle e non l’ha mai dimenticata, si vede.

Ma noi siamo qui per analizzare ciò che vediamo per cui, al netto di una profonda vicinanza alla condizione personale del mister e all’immenso elogio per la profonda lezione pedagogica, è giusto che i fari dei riflettori si accendano sul campo. E’ giusto che l’oscena prestazione di ieri sera abbia interpreti con un nome e un cognome.

Facendo riferimento alla propria condizione di salute il tecnico del Napoli si è espresso così:

“Questo perso che i ragazzi in questi 10-12 giorni l’hanno sofferto”

E allora noi ci chiediamo: dove sta la famosa spina dorsale di questi ragazzi? Come è possibile svuotarsi in questo modo piuttosto che spaccare il mondo e dedicare alla propria guida in difficoltà una vittoria roboante?

E’ mai possibile che noi dobbiamo sempre essere quelli che vengono meno negli appuntamenti importanti, quelli che perdono le gare in albergo, quelli che si sgonfiano come palloncini al sole perché il proprio trainer vive una sofferta condizione personale?

Si. La risposta è tristemente si.

Troppo buoni. Troppo sensibili. Troppo innocui. Troppo ingenui.

Agli ingredienti che fanno di un discreto calciatore un campione non possono mancare gli attributi e ai nostri, purtroppo, mancano.

La minuziosa ricerca dello scouting azzurro di “bravi ragazzi” prima che ottimi calciatori si sta rivelando una scelta fallimentare. Almeno per ciò che concerne i risultati sul campo.

La società c’ha tenuto più volte a ribadire la sua intenzione di acquisire le prestazioni di atleti che fossero innanzitutto persone perbene e bravi ragazzi, prima che ottimi calciatori.

Perché? Per paura di cosa? Di spogliatoi spaccati? Di beghe contrattuali innescate nei confronti della società?

Forse entrambe le cose. Ma il dato di fatto evidenza un fallimento: gli spogliatoi spaccati non hanno mai pregiudicato le vittorie sul campo. La storia è piena di esempi che vanno in questa direzione.

In secondo luogo, non ci sembra che il Napoli non sia incappato in rogne extra campo con i propri tesserati: l’ammutinamento ancelottiano e la situazione legata a Milik sono solo gli esempi più recenti.

Il dato di fatto è dunque una costante dell’era De Laurentiis: la continua crescita degli investimenti economici e tecnici non sono mai stati seguiti da quelli caratteriali.

Il Napoli era e continua ad essere una squadra che fatica tremendamente a venir fuori dai momenti di difficoltà. Al ciuccio tremano le zampe nei momenti decisivi. Da sempre.

E a noi, continua a far male il cuore.

About author

Guido Gaglione è docente di arte e immagine, operatore di ripresa e giornalista pubblicista dal 2015.
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