Il day after di Napoli – Torino, come giusto che sia, è popolato da uno sciame di lodi all’indirizzo di Dries Mertens. Tutto giusto, ci mancherebbe, ma consentiteci di andare oltre. La gara del San Paolo è una ciliegina sulla torta pensata, preparata e poi infornata da Maurizio Sarri. Il Commodoro marxista, come lo chiama scherzosamente il giornalista Andrea Scanzi, dalla sua poltroncina al lato del campo è salito in cattedra ed ha mostrato all’Italia intera cosa vuol dire dirigere una squadra di calcio. Il Napoli, grazie a lui, è pura poesia, con buona pace di chi (non pochi!) solo qualche settimana fa ne chiedeva la testa.
Il Napoli di Sarri si può definire rivoluzionario, almeno per come si è concepito il calcio all’ombra del Vesuvio fino ad un paio d’anni fa. La rivoluzione comincia dal gioco: gli azzurri hanno una precisa identità ed un registro tattico che ormai è diventato marchio di fabbrica. Pressing, occupazione degli spazi e chiusura delle linee di passaggio in fase passiva. Velocità di movimento della palla, ricerca dell’ampiezza e assenza di punti di riferimento in quella di possesso.
Quest’anno, più che l’anno scorso, Sarri ha dovuto affrontare una fase molto delicata, quella dell’inserimento di giocatori giovani, ancorché molto validi. Zielinski e Diawara su tutti hanno vissuto una fase di rodaggio, di naturale subordinazione rispetto ai compagni che tanto bene hanno fatto nel campionato scorso. Quel momento è passato, circostanza che oggi consente a Sarri di poter guardare alla sua rosa come ad un insieme vasto e variegato, composto (oggi sì) da 18/20 giocatori, tutti intercambiabili e con caratteristiche diverse. Ciò consente di schierare una formazione che si adatta alle caratteristiche dell’avversario, pur mantenendo lo stesso sistema di gioco, per non parlare delle soluzioni, praticamente infinite, da adottare a partita in corso.
Un altro aspetto rivoluzionario risiede nella testa dei giocatori. Questa squadra gode di una condizione mentale straripante. Vero è che contro il Torino il solo secondo tempo dice 2-3 nel “parziale”, ma è altrettanto vero che ad ogni minimo tentativo di impennata granata, la “cresta del gallo” (Belotti) veniva brutalmente rispedita nel sacco con giocate fulminee e contropiede mortiferi. In una sola parola, oltre che identità Sarri ai suoi ragazzi ha dato mentalità.
Qualcuno diceva che la vittoria è nella testa, ma per vittoria non si intende per forza sollevare un trofeo: in senso lato, il vocabolo può essere riferito all’ottenimento di un risultato, il raggiungimento di un obiettivo. Qui ritorna in gioco Dries Mertens, che da comprimario di Insigne nel ruolo di esterno sinistro si è trasformato in un centravanti che segna più di Immobile, quanto Higuaìn e poco meno di Dzeko e Icardi. Un dato statistico spiega meglio di qualsiasi altra cosa questa rivoluzione. Nella sua miglior stagione a Napoli, la prima, il belga ha segnato 13 gol in 47 partite stagionali. Con il poker rifilato a Joe Hart, il folletto azzurro raggiunge quota 14 reti in 21 presenze: un gol in più in meno della metà delle gare a disposizione. Con le dovute proporzioni, questa scoperta somiglia molto all’intuizione di Cavani centravanti, avuta da Mazzarri nell’estate del 2010: in quel caso, il Matador passò dalle 13 reti in 34 partite di campionato con la maglia del Palermo ai 26 gol in 35 presenze con il Napoli.
A proposito di numeri. Mertens 10 gol e 2 assist, Callejon 7 gol e 15 assist, Hamsik 5 gol e 10 assist e Insigne 4 gol e 15 assist. Il napoletano e lo spagnolo in testa alla speciale classifica dei passaggi decisivi forniti ai compagni. Come leggere questo dato? Il significato è uno soltanto: questa è una squadra in cui non ci sono leader e tutti sono leader. E’ un gruppo che si sostiene da solo, è l’insieme delle parti che forma un tutt’uno compatto, levigato, inviolabile.
Ma la rivoluzione sarrista non finisce qui. Il mister azzurro si sta evolvendo anche nella dialettica del rapporto con le telecamere. Dal burbero lamentoso dell’anno scorso, si sta pian piano trasformando in un allenatore di alto livello. Alzi la mano chi, al posto di Sarri, non si sarebbe autocelebrato, sottolineando una vittoria così roboante ottenuta “nonostante l’assenza del centravanti”. Sarri cambia passo, sale di livello, limitandosi a ricordare in conferenza che “persi Higuaìn e Milik s’è lavorato per trovare altre soluzioni”. Soluzioni trovate, a quanto pare.
Proprio dal confronto tra il Pipita e Mertens, Sarri trae spunto per tracciare il manifesto programmatico del Napoli del futuro: “Ti dà soddisfazione essere al top nel calcio italiano?” è la domanda rivolta dal giornalista, “Mi dà soddisfazione vedere il livello dei ragazzi […] Spesso chi vale 9 tira fuori di più di chi vale 10 e vince lui”. Oltre che gli auguri per Natale, a noi viene da rivolgere un solenne e meritato “ad maiora, mister”.