Volendo semplificare all’eccesso, la Storia del Calcio sembra attraversata dall’eterna contrapposizione che vede, da una parte la ricerca del risultato attraverso il Gioco, dall’altro il perseguimento della vittoria ad ogni costo (sportivo), basata su un atteggiamento speculativo, calcolatore ci verrebbe da dire.
Tendenze rappresentate all’estremo dal Calcio Totale olandese e dal catenaccio all’italiana de’ “le squadre si costruiscono dalla difesa”. Ciclicamente, questi due approcci opposti si sono alternati nell’essere vincenti, imponendo mode ed epigoni. Durante il ciclo del Barcellona di Guardiola, Xavi ed Iniesta (ancor più che di Messi), quasi quasi ti ritrovavi anche Castori e Iachini a provare il tiki taka. Ok ok, il parcheggiatore di autobus Castori forse è troppo.
Fatto sta che finiscono i matrimoni, i cicli e le carriere. E allora il profeta Pep lascia la moschea catalana e con lui l’Imam Xavi. Finisce l’egemonia del palleggio e dalla retroguardia, intanto, dopo la parentesi del triplete di Mourinho, quatto quatto si fa largo il cholismo che, col suo Atletico Madrid fa bella (???) mostra di bruttezza ed efficacia, arrivando a sfiorare il tetto d’Europa. E’ il ritorno del cosiddetto calcio all’italiana. Compattezza difensiva e giocata del singolo (sublimi Koke, Niguez e Griezmann). Un percorso che sembra avere il suo culmine nella vittoria del Leicester in Premier. Uno schiaffo ai fatturati, attraverso equilibrio e contropiede.
Ma è questo l’anno dell’apogeo dei figli di Trapattoni. I quattro principali campionati europei sono stati vinti da allenatori che hanno militato, da giocatori e/o allenatori, nella Juventus. Allegri, Conte, Zidane, Ancelotti. Chi più spettacolare, chi meno, tutti poliedrici, plasmabili in funzione di ciò che più è efficace per raggiungere il risultato. Figli di Trapattoni, dicevamo, nonchè nipoti di Boniperti e del suo adagio “vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”.
Poi però è appena finita l’ultima partita del Napoli al San Paolo. E non puoi non pensare all’outsider di tutto l’attuale contesto europeo. Sarri, l’uomo del tiki taka vertical, mostra un calcio meraviglioso, fatto di possesso, pressing alto e combinazioni da playstation. Ma di quei giocatori bravi alla playstation. Quei veri e propri pianisti del joypad che muovono le dita su quadrato, triangolo, cerchio e ics alla velocità della luce. Le dita di Sarri sono la sua Idea di Calcio e i tasti i suoi calciatori. Un’idea che non è derogabile, neanche quando le mani sono un po’ consumate dai calli.
Sarri oggi è fuori moda. Se non vinci, sei uno sfigato. E se parli di fatturato, vieni pure preso per il culo dai dinosauri dei salotti televisivi, prezzolati o meno che siano. Poco importa se di fatturati parla anche lo stesso Ancelotti, che di squadre paperose se ne intende eccome. Poco importa che un Leicester non fa primavera. Poco importa che l’unico Napoli vincente della Storia era illuminato da la zurda inmortal di un calciatore finora senza eguali.
Eppure, una vittoria del Napoli, oltre che sogno di tutti i tifosi azzurri, farebbe bene a tutto il movimento calcistico italiano.
Un’Italia che esporta come modello vincente la Juventus (questa Juventus) sarebbe un elemento positivo per il nostro Calcio, in quanto trainante. Ma non farebbe che confermare tutto ciò che all’estero già si pensa dell’Italia e dei suoi stilemi di gioco. Un Sarri scudettato (e, perchè no, competitivo anche fuori confine) rappresenterebbe una rivoluzione copernicana. E’ dai tempi di Sacchi che non si vede il campionato vinto da una squadra con grande continuità di gioco. Con una differenza di risorse economiche (aridaje) indicibile.
Forse siamo troppo ottimisti, ma a tutto ciò potrebbe arrivarci persino Borghezio. Pardon, Tavecchio.
E la narrazione di un Napoli fallimentare, o anche solo incompiuto, per mancanza di trofei, costituirebbe la miglior parte monografica di un ipotetico esame universitario in “Banalità applicata al Calcio” (e fioccherebbero i 30 e lode). Il Napoli non deve vincere, come recita uno dei tanti stantii cori curvaioli. Questo Napoli può vincere. Ed è una differenza di fondo abissale.
Bisogna imparare a godere di ciò che si ha e si è. Se tutto ciò è bello. Anche se potremmo avere ed essere di più. Attenzione, godere. Che non è accontentarsi. Ma essere completamente centrati nella pienezza del momento. Che fino a due secondi prima, avevamo ed eravamo Aglietti, Caccia, Ulivieri e “turcimienti ‘e stentin e jastemme”.
E alla fine… chi pensa che “vincere non è importante, ma è l’unica cosa che blablabla” è juventino dentro. Può ostentare quanto vuole tutti gli “Juve merda” del mondo, ma rimarrà sempre come quegli omofobi dall’omosessualità repressa.