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Vincenzo Romano: “Sarri è Terry Brooks, ma Ancelotti è Tolkien”

Ingegnere e scrittore napoletano. No, non stiamo parlando del grande De Crescenzo ma del giovane talentuoso Vincenzo Romano che condivide con il filosofo napoletano, origini, passione per la città e titolo di studio. Ma l’ambito di scrittura è molto diverso. Romano, che impareremo a conoscere meglio durante la nostra intervista, è probabilmente uno dei primi scrittori napoletani a occuparsi del genere “fantasy”.

Proprio per questa sua predilezione, il tema dell’intervista intreccerà spesso il reale con il fantastico fino a farci realizzare che poi tanto distanti non sono. Ma andiamo con ordine.

ilP.: Vincenzo, partiamo dalla tua fede calcistica. Tu sei tifoso del Napoli, qual è il tuo primo ricordo azzurro?

V. R.: Della prima festa scudetto ho immagini molto sbiadite, mentre ho un ricordo molto nitido della mia prima partita allo stadio. Mio papà non è mai stato un frequentatore assiduo degli spalti, ma da bambino mi ha portato qualche volta alle partite tranquille.

Era il 22 Ottobre del 1988, avevo da poco compiuto 8 anni, c’era il sole e alla fine della partita ero felicissimo perché il Napoli vinse 8-2, per un bambino lo stadio è sempre una festa, e vedere tutti quei gol è stato emozionante. Il portiere del Pescara mi fece un po’ pena, ma ero troppo felice per la vittoria della mia squadra. 

Da allora di ricordi ne conservo tanti, dalle domeniche nei distinti con il passaggio in macchina alle giornate fatte di quattro/cinque ore di mezzi pubblici per un’ora e mezza di partita. Dalle immagini tristi dell’anno della retrocessione a quelle sempre più belle degli ultimi anni. 

L’anno scorso ho portato il più grande dei miei figli a vedere la sua prima partita, è finita 6-0 con il Benevento, spero che il Napoli possa regalare anche a lui tante emozioni.

ilP.: Quanto senti forte il tuo legame con Napoli e con il Napoli?

V. R.: Il legame con il Napoli è forte, è sempre stata la mia squadra. Il calcio continua a emozionarmi anche se la comprensione dei meccanismi economici che muovono gli ingranaggi rovina un po’ quella passione innocente che ci fa emozionare tanto da piccoli. Noi resistiamo e ci godiamo il bello, con la consapevolezza che c’è anche il brutto dietro un gioco che muove tanti interessi.

Mi sento napoletano in un mondo grande e bello, stare dalla parte di chi viene spesso discriminato mi ha reso un fiero sostenitore di quella napoletanità positiva che con tanta fatica riesce a emergere. Chi parla male di Napoli senza averla vissuta direttamente commette un grave errore, così come lo commette chi difende Napoli senza riconoscere che sono i suoi lati oscuri che mettono in risalto la sua parte luminosa.

ilP.: Da appassionato del genere “fantasy”, se dovessi paragone Maurizio Sarri a uno scrittore, a quale lo rapporteresti? E invece Carlo Ancelotti?

V. R.: Sarri è un pazzo, è uno che segue la sua filosofia ed è pronto a pagarne le conseguenze; in una piazza frettolosa, affamata e appassionata come Napoli, dove il successo sportivo viene spesso confuso con il riscatto socioculturale di un’intera città non è facile mantenere l’equilibrio. Lui ci è riuscito, è stato coerente con se stesso fino a ispirare la definizione di Sarrismo. Per la sua fedeltà alle sue idee lo paragonerei a Terry Brooks, per l’incanto che ha saputo creare a Terry Pratchett.

Ancelotti è un predestinato, grande in campo e fuori. La caratteristica che più mi colpisce è il suo essere sempre misurato, gli basta sollevare un sopracciglio per comunicare. Mi piace la sua capacità di immaginare un giocatore fuori dagli schemi, inventare nuovi ruoli e convincere i suoi che possono essere giocatori migliori abbandonando le loro certezze. In questo è un vero maestro degli eroi. Devo per forza associarlo a John Ronald Reuel Tolkien per la signorilità e per la gestione dei suoi “personaggi”.

ilP.: Da scrittore del genere, quanto ha influito secondo te il tuo essere napoletano nella creazione di mondi e personaggi immaginari?

V. R.: La creatività è un dono tanto bello quanto comune, tantissimi sono consapevoli di possederla e la esprimono, scegliendo la forma più affine al loro essere. Le mie origini hanno avuto sicuramente un peso sulla tipologia di mondi e di personaggi che sto provando a mettere su carta.

Essere figlio di un mondo così controverso e pieno di ricchezze, alcune manifeste, altre ben nascoste mi ha dato quel gusto per il ribaltamento di prospettiva che tanto amo in quel che leggo.

Cerco di concludere sempre i miei racconti e i miei romanzi con una rivelazione capace di mutare il punto di vista del lettore. Non è facile ma è quello di cui con sempre maggior urgenza leggo il bisogno nella nostra realtà. Spesso restiamo ancorati al nostro punto di vista perché non siamo più abituati a cambiarlo, il pensiero frontale domina su quello laterale che invece ci permette di volare molto più in alto, nella fantasia come nella realtà.

ilP.: D’altra parte il tuo primo personaggio è un mezzosangue… cioè nato dall’unione di due razze diverse. Un tema molto attuale e sempre molto vicino alle origini partenopee che hanno subito tante influenze. Ha influito tutto ciò sulla creazione del personaggio e della storia?

V. R.: Ho usato la lente del fantasy per parlare di uno dei temi centrali del nostro mondo: il pregiudizio. La nostra identità è sempre più la somma dei nostri simboli di appartenenza, delle bandiere che portiamo addosso, la squadra del cuore, la città di provenienza, la fede religiosa e tante altre. Quando incontriamo qualcuno siamo istintivamente portati a notare ciò che ci separa, perché è più difficile trovare i punti in comune.

Le relazioni autentiche costano fatica, una fatica che oggi non tutti sono disposti a fare. Il mezzosangue è una icona perfetta per esprimere questa fatica; ne ho messi due nella storia, raccontando attraverso le loro avventure come sia complicato togliere da una persona le etichette che la nostra mente gli appiccica addosso e cominciare a guardarla per quello che è.

È indubbio che vivere in una città come Napoli, figlia e nipote di tanti popoli e tante culture abbia avuto il suo peso nella scelta dei protagonisti.

ilP.: Quanto è difficile per un autore emergente imporsi oggi su una scena letteraria così frastagliata e invasa da prodotti di ogni genere? E se e quanto è più difficile per un autore del sud…

V. R.: Non so se ci siano differenze reali tra nord e sud in questo campo, è difficile dappertutto. La solita statistica dell’Italia in cui si legge poco è trita e ritrita. Si pubblicano oltre 60.000 titoli all’anno, questo è il problema. Il comparto editoriale è assoggettato a un perverso meccanismo economico in cui pubblicare diventa quasi una necessità. Emergere da una tale massa di titoli e autori è complesso, ci vuole tanta costanza, inventiva e anche un po’ di fortuna.

ilP.: Come immagini il Napoli tra dieci anni nel calcio e nella letteratura?

V. R.: Il progetto della società di De Laurentiis mi sembra ormai definitivamente consolidato. Spero che il Calcio Napoli raggiunga la maturità di altre squadre dal punto di vista aziendale, e magari riesca anche ad acquisire uno stadio proprio. Tra dieci anni me lo immagino al vertice del campionato e tra le big d’Europa, la crescita costante degli anni scorsi testimonia che il modello di gestione può essere un modello di successo anche se messo a confronto con compagini molto più attrezzate.

Fino al 2009 a Napoli abbiamo avuto Galassia Gutemberg, una fiera del libro che si è tenuta per 20 anni; a settembre del 2017 la manifestazione Ricomincio dai Libri (svoltasi per tre anni a San Giorgio a Cremano) ha riportato una fiera del libro a Napoli dopo quasi un decennio. Lo considero un segno di speranza, di rinascita. Napoli ha la cultura nelle fondamenta delle case, nelle cantine, tra i sanpietrini delle strade; ogni generazione ha il compito di non trascurare questa eredità, di non cullarsi nel glorioso passato di capitale culturale della nostra città e di affermare sempre il valore assoluto della cultura in tutte le sue forme.

ilP.: Parlaci del rapporto con la scrittura e quello che per te rappresent

V. R.: Uso la scrittura per parlare agli altri, per me è uno strumento di comunicazione bellissimo ed efficace. Da lettore riconosco ai buoni libri la capacità di suscitare emozioni, coinvolgimento, riflessione e lasciare sempre dietro di sé qualcosa. Da autore provo a utilizzare le parole, il personaggi e i luoghi per raccontare storie che hanno dentro un messaggio, un sentire profondo che ho voglia di comunicare e che trova nella narrativa il suo veicolo preferito.

Scrivere rappresenta anche una sfida, perché scrivere bene richiede studio e applicazione, devo imparare cose nuove come se fossi tornato a scuola, e questo è un grande stimolo.

 

BIO

Vincenzo Romano è nato a Benevento nel 1980. Ha vissuto a Napoli fino al 2010, anno in cui si è trasferito a Pozzuoli. Dopo una esperienza all’estero come ricercatore è entrato nel mondo aziendale dove da dieci anni ricopre il ruolo di Responsabile della Qualità. Ha alle spalle alcune pubblicazioni scientifiche, tra cui spicca quella con A.F. Sarofim in Combustion Generated Fine Carbonaceous Particles (Kit Scientific Publishing). Nel 2015 ha deciso di rompere gli indugi e cercare un editore per il suo primo lavoro di narrativa.

Alla fine del 2016 pubblica con 0111 Edizioni “Mezzosangue“, un romanzo fantasy. Il libro diventa un piccolo caso superando le 1000 copie vendute in meno di un anno. Nel periodo successivo si dedica alla stesura di un testo sull’esperienza della paternità, ormai prossimo all’uscita, Romanicomio, e al seguito di Mezzosangue, attualmente in fase di editing. Nel 2018 vince il premio Giocaitalia per la creatività letteraria.

Per approfondire la conoscenza di Vincenzo Romano ecco a voi alcuni interessanti links:

https://www.facebook.com/mezzosanguelibro/

https://www.goodreads.com/book/show/33229537-mezzosangue

About author

Carlo Papa è l'ideatore e il Direttore Responsabile de Il Partenopeo. Docente di diritto e giornalista pubblicista dal 2015
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