La lunaticità di questa piazza fa davvero ribollire il sangue nelle vene. E’ indigesta, sà di ignoranza, di ottusità. E’ come un cancro che colpisce tutti, indistintamente. O quasi tutti.
Se proprio ci si deve arrendere alla teoria secondo la quale il tifoso è tifoso – per cui è malato di inguaribile tortuosità celebrale che lo distanzia irrimediabilmente dalla lucidità – ci sembra davvero inconcepibile doverlo fare con categorie lontane da quella dei supporter.
Da queste parti, il Napoli di Ancelotti è un battello in alto mare, che adesso vede il sole e il giorno dopo gli abissi. Da quando l’ex allenatore del Bayer Monaco è alla guida di questa squadra ha avuto alle sue dipendenze campioni che a distanza di pochi giorni sono diventati brocchi. E’ inammissibile, inconcepibile, inaccettabile.
Allo sciame di passione che quotidianamente sostiene questi colori va presentato un quadro veritiero, uno specchio che rifletta quello che è, non il riflesso deforme di un pensiero condizionato da umori ballerini. Ci siamo sobbarcati quindi giorni di grande Napoli, quello delle rimonte impossibili, quello degli Zielinski top player, quello dei Milik che prende tra le mani il cancellino e con un colpo solo ripulisce la lavagna su cui vi erano scritti tutti i nomi degli attaccanti accostati al Napoli e mai arrivati. Ci hanno raccontato di un Napoli primo in classifica, nonostante un calendario nefasto, di un Napoli che rispondeva alla Juventus colpo su colpo mentre le altre grandi rimediavano pessime figure su tutti i campi. Lo abbiamo ritrovato massacrato di botte. Ci ha pensato dapprima la Sampdoria a dargliene di santa ragione, poi, la piazza, che ha fatto di Facebook lo sfogatoio per eccellenza.
Un’abitudine che sta diventando fastidiosa assai, un giochino che è diventato consuetudine e che sembra divertire non poco chi, celato dietro una apparente delusione, sfila la cosiddetta corona contro chicchessia appartenga alla causa azzurra.
Strumentalizzazione o incapacità di leggere gli eventi? Forse entrambe. In ogni caso, non una bella cartolina di Napoli.
Noi proviamo ad offrire una lettura più lucida, nonostante la rabbia provata nel vedere una piazza che continua a non saper essere adulta e matura: non sarà il 4-3-3 utilizzato adesso a rendere il Napoli uguale a quello di Sarri: il sistema di gioco di Ancelotti col vecchio Napoli condivide solo i numeri, nient’altro. Cambiano le interpretazioni, i canali attraverso cui circola il pallone, i sistemi per arrivare alla conclusione.
Ma non c’è solo da imparare, c’è soprattutto da dimenticare. E’ vero i calciatori azzurri – per stessa ammissione di Ancelotti – sono preparatissimi tatticamente (e questo è un vantaggio), ma è anche vero che la manovra sarriana si è così radicata da diventare paradossalmente un vincolo da cui liberarsi.
In sostanza, al Napoli serve tempo. Per assimilare il nuovo e tradurre i nuovi contenuti in rinnovate certezze. E non è detto che l’assimilazione del nuovo porti agli straordinari risultati del passato.
Questi sono fatti. E nulla deve cancellarli: non devono farlo le vittorie con Lazio o Milan, ma nemmeno le sonore sconfitte come quella di ieri. Serve equilibrio.
Serve una Napoli che non si è mai vista.