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Finanza

Lezione di finanza a chi vuole dare lezioni di finanza

In questi giorni di pausa dal campionato ci siamo imbattuti in un lungo articolo scritto da Vincenzo Imperatore su Il Napolista. Per chi non lo conoscesse, Imperatore è stato a lungo dirigente bancario e da qualche tempo si dedica alla scrittura attraverso articoli e saggi. L’aspetto più inquietante della vicenda è che il pezzo presenta alcune corpose inesattezze: motivo per cui, calcolatrice e memoria storica alla mano, abbiamo pensato di mettere in chiaro alcuni punti.

QUANTO HA VERSATO LA FAMIGLIA DE LAURENTIIS NEL CALCIO NAPOLI?

Partiamo dalla prima affermazione: “la famiglia De Laurentiis, in 14 anni, ha messo nelle casse del Napoli 51 milioni di cui 54 (30 rimborsati a Unicredit + 24 di compensi) già recuperati”. Da un articolo precedente si legge che tale cifra – che sembrerebbe un’enormità – è così costituita:

  • Rilevazione ramo d’azienda dal fallimento della vecchia SSC Napoli: 29,5 milioni;
  • Apporto di capitale di rischio: 16,5 milioni;
  • Prestiti ai soci: 4 milioni.

Totale, appunto, 51 milioni “versati” da De Laurentiis a beneficio del Calcio Napoli. Questa affermazione è falsa.

I primi 30 milioni, arrotondando per eccesso tra bolli, registro e spese di pratica, sono stati prestati a De Laurentiis da Unicredit. La banca, nell’estate del 2004, concesse un mutuo a 7 anni, poi rimborsato in appena tre “con i proventi del Calcio Napoli”, lo scrive l’autore stesso. Quindi sono soldi dei tifosi, delle tv e degli sponsor. De Laurentiis non ha versato un bel niente.

Il capitale di rischio “apportato”, pari a 16,5 milioni, non rappresenta necessariamente qualcosa di tangibile al fine di migliorare la struttura patrimoniale della società. Nel caso del Napoli, infatti, non lo è perchè il club di De Laurentiis non possiede asset proprietari ma solo il parco giocatori. Allora cosa sono quei 16,5 milioni?

Contabilmente, e solo contabilmente, rappresentano una sorta di passaggio a bilancio di parte del patrimonio di famiglia, al fine esclusivo di coprire future perdite, come espressamente dichiarato nella Relazione sulla gestione allegata al bilancio. A suffragio di questa tesi, si consideri che tali apporti sono avvenuti tra il 2005 e il 2006, i primi due della nuova gestione, tipicamente caratterizzati da perdite in quanto la società è nella sua fase iniziale. Dopo, come detto, più nulla.

I prestiti ai soci non meritano menzione nel capitale di rischio, per il semplice motivo che sono classificati, come scrive anche l’autore, come capitale di finanziamento.

QUANTO CI GUADAGNA ADL CON IL NAPOLI?

Una contraddizione in termini, dopo le inesattezze appena descritte, è rappresentata dal “guadagno” della famiglia De Laurentiis a fronte dell’attività di gestione della SSC Napoli. Nei due articoli, in sequenza, l’autore riesce nell’impresa di fornire tre versioni diverse:

  • Prima versione: “quindi dopo 12 anni un imprenditore che è venuto nella nostra città per rischiare il suo capitale non ha ancora guadagnato un euro”;
  • Seconda versione: “dopo 14 anni un imprenditore che è venuto nella nostra città per rischiare il suo capitale ha guadagnato circa 3 milioni di euro. Poco più di 200 mila euro all’anno”:
  • Terza versione (scritta due righe prima della seconda!): “la famiglia De Laurentiis, in 14 anni, ha messo nelle casse del Napoli 51 milioni di cui 54 (30 rimborsati a Unicredit + 24 di compensi) già recuperati”.

Ma quanto ci ha guadagnato davvero la famiglia De Laurentiis nel corso degli anni? Per capirlo non bisogna guardare l’utile di esercizio o spulciare tra i più misteriosi indici di bilancio. Basta leggere l’importo dei “Compensi agli amministratori”, una tabellina reperibile nella Relazione sulla gestione allegata al bilancio.

Ebbene, il totale dei compensi dal 2004 a oggi ammonta a 24,356 milioni, così suddivisi:

Stagione 2008/09: € 0,240 milioni;

Stagione 2010/11: € 2,999 milioni;

Stagione 2011/12: € 4,063 milioni;

Stagione 2012/13: € 5,063 milioni;

Stagione 2013/14: € 5,550 milioni;

Stagione 2014/15: € 1,025 milioni;

Stagione 2015/16: € 1,025 milioni;

Stagione 2016/17: € 4,400 milioni.

Stipendi peraltro legittimi, meritati e sostanzialmente in linea con quanto offre a questi livelli una tipica multinazionale commerciale.

Prendendo spunto dall’ultimo dato di bilancio (stagione 2016/17), il totale di 4,4 milioni deve essere ripartito per i sei membri del Consiglio di amministrazione, vale a dire i coniugi De Laurentiis, i tre figli e Andrea Chiavelli: ognuno ha preso poco più di 700 mila euro.

ATTACCO FRONTALE

Poi l’autore si scaglia contro una non meglio identificata “borghesia imprenditoriale napoletana”, criticona per partito preso nei confronti di De Laurentiis ma rea di non aver trovato i famigerati 7 milioni per ripartire (probabilmente, ma non di sicuro) dalla serie B nell’estate del 2004 attraverso il Lodo Petrucci.

A qualcuno risulta che De Laurentiis fosse tra quelli? A noi no. De Laurentiis è forse un dissennato che va in banca a chiedere un mutuo di 30 milioni per far giocare una squadra inesistente in serie C, invece di sborsarne sette e trovarsi già una categoria più su? Evidentemente no, così come è evidente che non si possono comparare le due situazioni.

Diciamo, piuttosto, che la borghesia imprenditoriale napoletana ha rosicato parecchio perché tutto all’improvviso è arrivato questo qua da Roma e gli ha soffiato il giocattolo dalle mani. Ma, se ricordo bene, dalle parti di Castel Capuano in quei giorni gravitavano il solito Gaucci, Enrico Preziosi, la famiglia Pozzo e il compianto Paolo De Luca. Di quale borghesia parliamo?

Il fatto poi che in discorsi di finanza venga citato in qualità di “filosofo” Stefano Ricucci, sinceramente, è una battuta che non fa ridere. Ricucci, parlando solo delle condanne definitive, ha patteggiato un anno di carcere più la confisca di circa 29 milioni di euro di plusvalenze nella vicenda Antonveneta. Per la scalata a RCS la Procura di Roma gli ha sequestrato 22 milioni di euro di profitti da attività di aggiotaggio informativo e la Consob gli ha comminato la sanzione più alta di sempre: 10,4 milioni. Ultimamente è stato condannato a 3 anni e 4 mesi per fatture false. Trattasi di criminale, che non può essere utilizzato come benchmark per nessun discorso, nemmeno per scherzo.

DE LAURENTIIS E LA CAMORRA

De Laurentiis non è mai stato coinvolto in nessuna inchiesta per affari con la camorra, prosegue l’autore. Questo è vero, ma nella pozzanghera ci casca un attimo dopo: “di certo a Napoli (non Torino o Milano) il bagarinaggio – che storicamente ha sempre spadroneggiato – non c’è più”.

Cosa si intende per bagarinaggio? E’ solo quello degli energumeni che a un quarto d’ora dall’inizio della partita pretendono che paghi 100 euro per un biglietto di curva? Questo era un discorso interessante, forse, fino a vent’anni fa.

Oggi il bagarinaggio corre sul web: si chiama secondary ticketing, e le vicende salite all’onore delle cronache in occasione (ad esempio) di Napoli – Real Madrid di marzo 2017 ne sono l’emblema.

Per analizzarlo (e non è questa la sede) non bisogna scadere nel banale paradigma dei biglietti in mano ai camorristi. La criminalità telematica colpisce qualsiasi evento pubblico, dal calcio alla musica, in Europa e in America. Incassa miliardi ogni anno, anche dalle partite del Napoli. Non ha confini e purtroppo ad oggi nessuno può farci nulla.

I cyber-bagarini operano in assenza di leggi che ne disciplinano la materia. In linea di principio sarebbe reato la rivendita di biglietti a prezzo incongruamente maggiorato (il “vecchio” bagarinaggio), ma diverse sentenze della Cassazione hanno scardinato il concetto di rivendita illegale, per due motivi fondamentali: non c’è illecito se la provenienza del bene è lecita e, a meno di comprovata minaccia di acquisto, è il cliente che decide spontaneamente di pagare una cifra spropositata.

Nel nostro caso, affermare vagamente che il bagarinaggio non c’è più è semplicistico, oltre che sbagliato.

CONCLUSIONI   

Stupisce che un professionista di tale levatura commetta così tante inesattezze in un solo articolo. Non ci piace parlare di incompetenza, ma sicuramente il taglio “fazioso” della testata che lo ospita contribuisce tantissimo a creare confusione ad un lettore un po’ più attento.

Tuttavia, è bene chiarire due concetti. In primo luogo non vogliamo in nessun modo fare le pulci al rispettabile lavoro svolto da altri: non vogliamo allargare i nostri consensi e non vogliamo farne perdere ad altri. Siamo mossi semplicemente da onestà intellettuale, prodotto dell’amore per la verità.

In seconda istanza, non abbiamo alcuna intenzione di passare a nostra volta per “papponisti”, un termine che non ci piace ma del quale, nel nostro piccolo, abbiamo provato a descriverne la genesi. Ciò che riportiamo in questo articolo sono fatti, non invettive mascherate da interpretazioni mosse da un malcelato, ostinato ed oltranzista senso di appartenenza. La materia finanziaria è una cosa seria, non si presta alle diverse angolazioni dei punti di vista.

About author

Paolo Esposito è laureato in Economia Aziendale. Per lavoro si occupa di tax auditing con particolare attenzione al transfer pricing, al financial accounting e alle business restructuring. Tuttavia crede che di calcio sia meglio parlare in napoletano.
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