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Partenopeismi

Omeopatia spicciola

Il calciomercato: l’anestetico più efficace per il tifoso medio. Mai come in questo periodo, poi, solo di anestetico può trattarsi. Perché se da una parte può essere un dato incoraggiante mostrarsi attivi sul mercato, dall’altra appare solo come un tentativo di minimizzare le criticità intestine della società. Da Ibrahimovic a Kessie, i nomi che si susseguono possono esaltare, ma non dicono nulla sulle linee guida che il club intende adottare nei prossimi mesi.

Tra ammutinamenti, minacce di epurazione, silenzi stampa e aspettative disattese, lo scenario non pare quello più sereno per pianificare il mercato. Anzi, allo stato attuale è più giusto individuare prima gli elementi da cui ripartire, piuttosto che quelli su cui investire.

La notte di Salisburgo ha messo a nudo due princìpi, all’apparenza antitetici, che dimostrano perché parlare adesso di mercato rappresenta un mero palliativo:

Il Napoli è fragile

Negarlo sarebbe inutile: questa è la crisi più profonda mai vissuta dal Napoli di de Laurentiis. Le presunte incomprensioni tra giocatori, allenatore e società hanno amplificato le già note difficoltà di comunicazione da parte di quest’ultima; inoltre, quella benedetta serata di Champions ha cambiato la visione che molti avevano dei tesserati azzurri: da bravi e diligenti professionisti hanno vestito la figura di sobillatori verso i poteri padronali. Probabilmente la verità non uscirà mai fuori da quegli spogliatoi, come è anche giusto che sia, per certi versi. Ma il vero punto di domanda è: in una situazione del genere, a cosa servirebbe puntare su un campione scafato o sull’ennesimo talento emergente? Tanto per dire un nome, che stimoli dovrebbe avere il buon vecchio Ibra in un contesto simile? E soprattutto che ruolo, visto che quello del paciere non gli si addice di sicuro; non è scontato che un gruppo così provato emotivamente possa accogliere con equilibrio una personalità che di certo non normalizza i frangenti di tensione. Discorso simile può generarsi dai giocatori emergenti: questa attuale realtà di squadra potrebbe davvero offrire stimoli a giocatori ambiziosi e promettenti? Al momento ciò non avviene nemmeno con quelli di casa, valutando le ultime prove di Ruiz e lo scialbo campionato di Lozano.

Il presente di questo Napoli è fragile, troppo fragile per avere la lucidità di guardare subito al futuro.

Il Napoli è competitivo

Al netto del periodo torbido e le tensioni societarie, la compagine azzurra dispone di una rosa più che valida, rappresentativa di zone ben più alte dell’attuale settimo posto in cui galleggia. Tralasciando i proclami estivi miseramente smentiti dai risultati, la dimensione degli azzurri non è ai margini dei piazzamenti europei, di questo ne sono consapevoli tutti: mister, calciatori e società sanno benissimo di non star producendo il loro massimo, per cui è necessaria consapevolezza. Con le voci dell’arrivo di un nome prestigioso, si rischierebbe una ricaduta nell’eccessivo entusiasmo precampionato o, peggio ancora, in una depressione nata dalla convinzione che sia davvero necessario un nome nuovo per poter risalire la china. Risulta strano ragionare in questi termini per atleti esperti e navigati, ma la storia recente dei partenopei non mente: quello azzurro è un gruppo dalla notevole caratura tecnica ma assai carente in quanto a tenuta mentale. Ancelotti è reo di non esser riuscito a forgiare il carattere dei talenti a sua disposizione, e il problema non si risolverà facendo rimbalzare l’ennesimo nome altisonante fino a febbraio. Anzi, fornirebbe solo nuovi alibi a una squadra già poco brillante, che si aggrapperà al bisogno di un componente importante per migliorare. Ma migliorare, in questa situazione, non solo deve essere un imperativo, ma soprattutto una condizione da raggiungere con le proprie forze. Più che sufficienti per infastidire almeno le prima quattro posizioni della graduatoria.

È arrivato il momento di abbandonare i sogni scudetto o gli amori impossibili per fuoriclasse che mai toccheranno i lidi del golfo, quello che serve adesso è solo autostima e concentrazione. Con il primo sussulto dettato dal mister, mai così spaesato in quasi due anni all’ombra del Vesuvio.

Sia chiaro: non si vuol certo considerare inutile la sessione di gennaio, quanto piuttosto ridimensionarla; probabilmente gli esiti della finestra di riparazione non saranno tanto diversi da quelli degli ultimi anni. Se poi si pensa che, volente o nolente, la società si avvia verso un progetto rifondante della propria base tecnica, risulta davvero difficile individuare le fondamenta dove costruire il nuovo organico azzurro. Per cui, i nomi che si alterneranno nei prossimi mesi saranno simili a un placebo: potranno originare un sorriso illusorio per pochi attimi, ma non agiranno sui veri acciacchi umorali di cui, purtroppo, questa squadra soffre da troppo tempo.

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Aspirante scrittore, ossessionato dal cinema, dal Napoli e dalla lettura. Precario emigrante in virtù dell’affitto da pagare.
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