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Editoriale

Curve in sciopero e George Orwell: l’idea di tifo tra distopia e calcio romantico

Il clima che si respira al San Paolo in queste ultime gare casalinghe è a dir poco surreale. E, credetemi, il silenzio che si percepisce dalla TV non rende l’apatia che si percepisce sugli spalti. C’è stato un momento in cui si era paventata l’ipotesi di far giocare Napoli-Parma a porte chiuse (causa danni alla copertura dello Stadio), beh… non sarebbe cambiato un granché a livello di partecipazione del tifo. Certo, il momento della squadra, il gioco, gli errori, impediscono la creazione di un feeling tra campo e spalti, ma l’assenza dei gruppi all’interno delle Curve pesa, pesa tantissimo.

Lo sciopero, annunciato ad inizi novembre a causa del regolamento d’uso e di provvedimenti presi contro alcuni tifosi, va avanti ad oltranza. E, badate bene, quello che sembra essere una questione di principio da parte dei gruppi organizzati, è in realtà un grande punto interrogativo che deve porsi il calcio italiano, non solo a Napoli: che Stadio vogliamo? che futuro di calcio abbiamo in mente? Un enorme teatro, tutti seduti e qualche applauso?

Sulla questione non può che esserci una chiara presa di posizione personale. Personalmente ho sempre vissuto il calcio come passione, sentimento, trasporto emotivo. La prima volta che entrai al San Paolo da bambino, guardavo le Curve, nemmeno il campo. Si poi anche quello, ma lo spettacolo di quei cori coordinati all’unisono, di quel battere di mani, tamburi, bandiere… era ed è un fascino che lega il mio modo di vedere il calcio alla mia passione. Forse l’ultimo baluardo di un calcio che sta sparendo dietro gli schermi 50 pollici e dei sederi incollati sul divano.

Sia ben chiaro: qui non si difendono diritti di prevaricazione, violenze o pretese di nessun tipo. Stiamo cercando soltanto di sollecitare un compromesso tra le regole probabilmente troppo rigorose messe in atto e la possibilità di manifestare liberamente il tifo. Almeno all’interno delle Curve. La transizione tra semi-anarchia e regole ferree non c’è stata e portare ordine, in maniera così drastica, in settori che hanno fatto “ordine” da soli per anni è cose impossibile, inconciliabile. Per questo, lo sciopero.

Ripeto, questione di punti di vista. Si sta cercando di trasformare lo stadio in un teatro, in cui i posti a sedere (anche nelle zone centrali delle Curve) sono acquistabili anche da chi non ha mai supportato la squadra con cori per 90′. Ma così facendo si avrà tanto ordine ma anche tanto silenzio. Ed è un silenzio assordante.

Ma davvero c’è bisogno di regole così drastiche? Non si può accettare l’idea che lo stadio è tifo, bandiere, cori, sostegno? Non è una messinscena teatrale. Non è stare seduti, almeno non in Curva. Lo Stadio è anima. E’ irrazionalità. Non è puro controllo. Non è logica ferrea. Non sono catene. Quando tutto ciò succederà, quando quest’altra distopia verrà messa in atto, come un altro capitolo di 1984 di George Orwell, sarà il tramonto definitivo del calcio romantico e il trionfo dello show.

Vi è piaciuto lo spettacolo? Applaudite ordinati al vostro posto. Ma non cantante. Come a casa sul divano: spegnete la tv, pigiama e letto. Lo spettacolo è finito.

About author

Carlo Papa è l'ideatore e il Direttore Responsabile de Il Partenopeo. Docente di diritto e giornalista pubblicista dal 2015
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