I risultati del Napoli sono anche il frutto della scelte di comunicazione adottate dalla società.
Spesso le scelte della dirigenza azzurra vengono additate negativamente e considerate come mal guidate dalla approssimazione e dall’incapacità di strutturare l’organigramma societario all’altezza delle competizioni con cui la squadra si confronta. Probabilmente, in merito, non c’è idea più sbagliata.
Non tanto per la premessa, quanto per le conseguenze che ne scaturiscono. Proviamo a chiarire questo decisivo punto.
L’esigua struttura societaria, più simile a quella di un’impresa a carattere familiare che a una società che si confronta con realtà internazionali, non deve trarre in inganno rispetto a quelle che sono delle vere e proprie scelte strategiche, chiare e ben definite.
De Laurentiis ha più volte espresso la sua ostilità nei confronti di certa stampa nazionale e locale. Negli oltre dieci anni di presidenza, non sono mai mancate critiche né tantomeno veri e propri scontri con giornali e televisioni di massimo livello (Gazzetta dello Sport, Sky e Mediaset su tutti).
La scelta di impattare contro i media al punto da tagliarne i ponti è sempre stata dettata dalla volontà di difendere l’operato della società, nei confronti di chi sfrutta la visibilità quotidiana (in TV, social network, giornali) per accanirsi contro e nascondersi dietro la (sacrosanta) libertà di opinione per gettare fango.
Ma al di là dei media nazionali, il cui “polo del nord” è stato sovente attaccato anche da Rafa Benitez (ricordate la conferenza stampa in cui richiamava tutti a stare “spalla a spalla”? e lo scontro con Sky?), va detto che anche la realtà locale non offre panorami più sereni. Infatti, se la piazza partenopea è calda e sembra non riuscire a destreggiarsi sul filo dell’equilibrio nei giudizi, eternamente sospesi tra la gioia della vittoria e il disfattismo di una sconfitta, i media sembrano ancora più incapaci di analizzare la realtà in maniera oggettiva ed equilibrata.
Alla ricerca del consenso che spesso si radica nel malumore e che si manifesta, in particolar modo, quando il Napoli inciampa o non riesce ad ottenere i migliori risultati, i media e gli opinionisti locali non perdono occasione per attaccare la società e l’operato di dirigenti, settore tecnico, squadra.
L’incapacità di assorbire le fasi negative, i momenti di calo, ha costretto la società a chiudersi in un silenzio difensivo, a rispondere per smentite tramite i comunicati stampa. Si sbaglia a ritenere tutto ciò approssimativo e vittimistico: in realtà è il miglior strumento per tutelare la squadra e fare cerchio per non farsi aggredire, maciullare dal tritacarne pubblico.
E i tifosi? Sono vittime di questo sistema di comunicazione? No, non lo sono. Non lo sono perché se si considera questa strategia a lungo raggio, si può valutare che i buoni risultati ottenuti nel corso di questi ultimi anni sono dovuti, in parte, anche alla capacità di gestire queste criticità ambientali.
Domanda: è meglio offrire il giocatore di turno in pasto alle tendenziose domande della stampa pronta a ricamarci un articolo sensazionalistico il giorno dopo oppure proteggersi e creare un oasi di silenzio nella quale lavorare serenamente? La risposta a questa domanda risolve un enigma che potrebbe dar fastidio a chi è incapace di ammettere quanto la mancanza di cultura sportiva che si annida oggi in Italia possa determinarne, da sola, la scelta. Se poi ci si ricorda di certi titoli e delle cicliche accuse fatte alla scelte societaria, allora si potrà a capire perché il silenzio è una scelta quasi obbligata.