Undicesima Coppa Italia della sua storia. La bacheca è sempre più ricca, sempre più satura. Vince sempre la Juventus, vince solo la Juventus. Anche quando non è lei, anche quando gioca male ed è impresentabile sia mentalmente che tatticamente, anche quando gli arbitri non c’entrano assolutamente nulla.
Un grande Milan, il migliore degli ultimi quattro anni, si arrende 1-0 ai supplementari: dopo aver dominato per almeno 80 minuti, trascinato dal vecchio e contestato capitano Montolivo in forma Europeo viene colpito e condannato da un Morata mai visto così cinico.
Pochi minuti dopo il gol dello spagnolo il via al dèjà vu: bianconeri esultanti, cori inneggianti, tifosi in festa, bandiere bianconere al vento. Scene già viste, ripetute, ripercorse, scene al limite del noioso, forse non solo per chi juventino non è.
Hanno senza dubbio colpito maggiormente gli occhi lucidi di Montolivo, il cui azzurro dell’iride era lucente come un diamante scalfito dal dispiacere, o forse quelli impassibili di Cristian Brocchi, che ha consegnato nelle mani di Silvio Berlusconi le chiavi di un potente fuoristrada che fuori strada ci è finito per davvero. Oppure quelli del giovane Calabria in lacrime, che risulta simpatico solo per il cognome che gli si legge dietro le spalle, lontano uno stivale intero dal calcio che territorialmente non consegna al sud un titolo nazionale da anni.
Una festa, quella juventina, che affonda parte del suo significato in aspetti antropologici che poco c’entrano col calcio giocato.
Forse la ripetitività del festeggiamento nel corso degli anni ne ha sminuito l’intensità dello stesso? Ne ha sottratto quantità consistenti di enfasi ed adrenalina? Forse l‘abitudine all’evento, qualsiasi campo invada, è la tomba dell’evento stesso?
La gara di ieri sera ci ha consegnato più di un indizio in tal senso.
Sui volti dei calciatori juventini, del suo mister, dello staff intero, ed anche dei suoi numerosi tifosi presenti all’Olimpico di Roma, è stata quasi più evidente la stanchezza di esultare, piuttosto che la gioia di farlo.
Un aspetto che ci ha colpito molto, una sensazione paradossale ma reale. Una percezione che è diventata spunto di riflessione. In ogni caso, onore ai vincitori, seppur siano sempre gli stessi.
Il Napoli, invece, non ha vinto il campionato e non ha vinto la Coppa Italia. Non ha vinto nulla di tutto quanto vinto in questa stagione dalla Juventus, ma nella bacheca in cui custodisce gelosamente due scudetti lontani nel tempo e pochi altri trofei di minore rilevanza, vi è un carico di emozioni senza eguali.
Tutto quanto vi è racchiuso in Napoli-Frosinone, l’ultima gara di campionato, rimarrà nei cuori di tutti quanti hanno vissuto quei momenti. E poco c’entra il fatto non si sia festeggiato uno scudetto, a nulla importa il fatto a sventolare non vi fosse il tricolore.
Il Napoli quest’anno ci ha fatto divertire. Un desiderio l’abbiamo: che l’orgoglio non sia mai commisurato al primato.