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Partenopeismi

Lettera aperta a Gonzalo Higuain

Caro Gonzalo,

questa non è la lettera dell’amante tradito che chiede in ginocchio alla sua donna di restare, sono soltanto uno che ama il Calcio e che lo immagina, con nostalgia, ancora come uno sport.

E’ giusto che io ti dica subito che sono uno di quelli che arriva dalla generazione dei Maradona, dei Platini, dei Gentile e dei Cabrini, dei Bruno Conti e dei Di Bartolomei.

Ho vissuto il calcio nella radiolina, se ero fortunato la domenica andavo con papà sul campo che non era un teatro all’aperto ma proprio un campo di pallone. E siccome capitava di rado, aspettavo ore per vedere i gol di Diego a 90° minuto (quello originale), nell’attesa scendevo in strada con il mio supersantos e cercavo goffamente di riproporlo io il suo gol, sull’asfalto, aggrappandomi al ricordo delle parole della radiocronaca.

Quello era un altro calcio, ma era, se vogliamo, proprio un altro mondo, dove alcuni valori erano ancora ben saldi e guidavano il pensiero e le azioni di una generazione intera.

Quando ho letto le parole di Nicholas ho subito pensato ad uno scherzo; tuo fratello ha detto che non rinnoverete col Napoli, ha parlato di promesse disattese, progetti non mantenuti, voglia di lottare per il titolo ed ha addirittura scomodato la mancanza di strutture, battaglia di rafeliana memoria.

Tutto giusto, tutto vero, la tempistica ed il metodo, semmai, li ho trovati del tutto discutibili. Ma il motivo per cui ti scrivo è un altro.

Caro Gonzalo, quello che vorrei chiederti più di ogni altra cosa è: “Chi sei? Cosa cerchi, cosa vuoi davvero dalla tua vita?”.

Tu mi risponderai senza dubbio quello che mi risponderebbe qualsiasi ragazzo di 28 anni, pieno di soldi e fortunato, con un talento riconosciuto e fama planetaria: “Io voglio vincere e voglio guadagnare il più possibile, questo voglio”. Mi sembra quasi di sentire la tua voce, sai? E chissà perché non mi meraviglierebbe la tua risposta. Perché viviamo in un mondo dove ormai tutto si sceglie e si decide in base al denaro.

Sarà che i giovani come te, non solo quelli che vivono nel calcio, che sono il prodotto delle nuove generazioni più fortunate, sono abituati a ragionare così, un po’ calcolatori un po’ superficiali, allenati da questa società al ragionamento spicciolo e venale.

Sarà che ho incontrato tanti giovani non più abituati a lottare, giovani che fuori dalle mura ovattate di casa pensano di poter conquistare il mondo senza versare un minimo di sudore.

Ma tu, però, che sei uno sportivo, dovresti sapere cos’è il sudore, dovresti conoscere cosa vuol dire lottare, guadagnarsi qualcosa. Tu lo sai bene di cosa parlo, non è vero Gonzalo?

Nello sport l’obiettivo è certamente vincere, primeggiare, ma ci sono vittorie e vittorie e soprattutto ci sono tanti modi per farlo.

Vincere, dicevamo.

Tu vuoi vincere e come darti torto, chi non lo vorrebbe? E’ pur vero che per vincere, a volte, bisogna sapere osare, rischiare, avere il coraggio di mettersi in gioco.

Lo sportivo vero dovrebbe ragionare così, anche a costo di rischiare un probabile fallimento. Nel calcio come negli altri sport alla fine vince uno soltanto, tutti gli altri devono convivere con la frustrazione di non avercela fatta.

Ma si sa, viviamo nel mito della vittoria a tutti i costi.

Con la nazionale del tuo paese hai giocato e perso tre finali negli ultimi tre anni. Le hai perse tutte e tre. Eppure nell’Argentina al tuo fianco non ci sono Ghoulam, Allan e Jorginho, ma Messi, Aguero e Mascherano. Eppure hai perso. Hai perso col Cile di Edu Vargas, Gonzalo.

Nello sport succede spesso, sai, più di quanto pensi. E nella vita anche di più. Sai quanti giovani di talento hanno perso e perdono ogni giorno? Ci sono ragazzi dal talento straordinario, nei campi più disparati, costretti alla resa delle proprie speranze e delle proprie ambizioni, magari perché meno “fortunati” di altri.

Ma tu sei pur sempre Gonzalo Higuain! Quello che è diventato leggenda battendo tutti i record come goleador della Serie A; quello che fa sognare, gioire e sobbalzare un intero popolo che ne segue le gesta e ne attende meraviglie col cuore in gola.

Ma davvero per voi calciatori cambia molto un bonifico di 1 o 2 milioni di euro in più all’anno? Cioè mi vorresti far credere che ad uno che guadagna 8 milioni invece di 6 la vita cambia così tanto? Io non credo che a quei livelli sia così. Oppure sarà che non ci voglio credere, semplicemente.

Intendiamoci i soldi sono importanti, chi potrebbe dire il contrario. Ma se è vero che ad uno come me potrebbe cambiare davvero la vita guadagnare tre o quattromila euro in più al mese, non posso immaginare essere lo stesso per chi come te guadagna milioni di euro all’anno.

Lo so, lo so. Mi stai dicendo che la tua carriera è breve e che i soldi sono soldi e anche una piccola parte di denaro in più non si può buttare via. Può essere, non ci credo ma può essere. Secondo me ,però, non può spiegare tutto, c’è dell’altro. Insomma mi vorresti far credere che comprarti una Ferrari in meno ti costi così tanto sacrificio?

Non è che il contratto, un ingaggio migliore diventa il vostro alibi di ferro per giustificare la vostra paura di fallire? Di essere qualcuno davvero? Forse è che siete troppo fragili per raccogliere una vera sfida?

La regola è: “Se io sono il centravanti più forte del mondo allora devo giocare nelle squadre più forti del mondo”. Ah si? E quando è nata questa idea? Forse è figlia di una cultura, di un modo di pensare che è conseguenza ineluttabile di questi tempi, ma giammai un principio assoluto.

Cavani andò via da Napoli per Parigi, per un contratto quasi il doppio più alto. Ma va? Cavani a Napoli era un Dio, tutti parlavano di lui e delle sue gesta da Dio greco, era un atleta fantastico e quando è andato via da qui per poco non toccava il cielo con un dito.

Ha scelto di essere “uno dei tanti”,in una èlite, certo, ma pur sempre uno dei tanti. Ha scelto la vittoria facile, disperdendo quell’aura da Eroe epico che lasciava presagire al San Paolo e preferendo una vita all’ombra di Ibra per vincere solo la Ligue 1 (che tutto è fuorché un’impresa da mandare agli annali).

L’ho sempre vista come una mancanza di coraggio, la paura dello scrittore che dopo il primo bestseller di grande successo ha paura di fallire nel secondo. Si sceglie la vita facile, la vittoria sicura, la si preferisce alla Sfida, che invece dovrebbe rappresentare il fuoco, il propellente di ogni atleta.

Tu, invece, vieni da Madrid. Dal Top. E’ ancora più grave, se vogliamo, il tuo caso. Tu potresti essere leggenda, se solo lo volessi. Se solo avessi il coraggio, potresti regalarti l’immortalità vera, di quelle cantate nei versi di Omero.

Potresti essere ricordato per colui che scelse la sfida per l’eternità, che preferì essere l’Unico e non l’Uno tra tanti, il condottiero di un popolo, il Campione dei record superati e delle imprese mai eguagliate.

Oppure, ma la scelta è tua, colui che preferì uno o due milioni di euro in più sul conto per sposare l’ aurea mediocritas, per sopravvivere nel segno della media eccellenza. Ma con un grosso punto interrogativo sempre nella testa: se avesse osato, se avesse avuto coraggio di rischiare, oggi sarebbe lo stesso campione?

Sai, perché un conto è giocare con Iniesta, Suarez e Neymar e vincere Pallone d’oro, Champions e Coppa Intercontinentale, un conto è raggiungere vittorie anche meno pregiate partendo da un contorno diverso.

Leggo di te, leggo di Messi che vuole lasciare la nazionale per l’ennesima non vittoria. E penso a lui. A Diego. Mi viene proprio naturale farlo. Penso a tanti altri Campioni come Cruijff, George Best, Beckenbauer, Zoff e mi chiedo: “E’ mai possibile che non ne nascano più così”?

Sapete, cari Gonzalo e Nicholas, forse la cosa più triste di questa storia è che siete la dimostrazione tangibile che non rivedremo mai più questo genere di campioni. Perché non rivedremo mai più il mondo in cui quei campioni nacquero, che visse attraverso le loro gesta.

Diego scelse Napoli, una squadra mediocre, sposò una sfida impossibile. Col rischio di fallire. Ma lo fece. Giocò e vinse. Giocò e diventò Dio.

L’Epica e il Calcio sono simili, sai, entrambi possono regalare l’immortalità. Diego era il nostro Achille, giocò e vinse per il popolo, non servì alcun Re, solo per se stesso, per la sua gloria e la sua vanità e per la felicità della sua gente.

Il carisma, la personalità e la forza fanno di un grande calciatore un Campione vero. La forza di rischiare e la consapevolezza di esser più forti di un possibile fallimento. L’alta considerazione delle proprie possibilità, la voglia di raggiungere la Gloria, non la semplice fama, che poco ha a che fare con il conto in banca e la collezione d’auto di lusso.

E’ questo che uno come me chiede ad un vero sportivo. E’ questo che dovrebbe sentire un vero Campione.

Al Chelsea o all’Atletico Madrid, in qualsiasi top-club pluridecorato tu andrai a giocare, io ti auguro tutto il meglio. Ci hai fatto sognare e di questo noi ti ringrazieremo sempre.

In bocca al lupo o come dite voi Suerte, Gonzalo…

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Francesco Romano è laureato ed ha un master in comunicazione e marketing. Ama scrivere, lavora presso Mediaset.
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